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LEFT: Lettera ad una giovane dei nostri tempi


LEFT: Lettera ad una giovane dei nostri tempi

Queste sono due delle "lettere" giunte alla rubrica di LEFT per la selezione.

Lettera 1
 
Ho quasi 18 anni e come tutti i miei coetanei una gran smania di crescere, è da quando ho memoria che non voglio altro, ma quando ero bambina volevo crescere per realizzare i miei sogni, qualunque essi fossero, mutabili e inconsistenti, ora voglio crescere solo per cercare un modo per affermarmi, con la speranza di trovare uno spazio in questo mondo tanto grande e nel contempo tanto stretto. Non parlo a nome dei giovani, forse perché non ho percezione della mia generazione come una collettività, molti non si riconosceranno nelle mie parole, ne saranno offesi o ne rideranno, io non parlo a nome loro, parlo per me, così com'è per me che vivo.

Cerchi di capire cosa mi spinge ad alzarmi dal letto ogni mattina e andare nel mondo a costruire qualcosa….bè io non lo so. Tante volte me lo sono chiesta ma non ho una risposta soddisfacente, sono addirittura arrivata al punto di chiedermi se non facessi questo cosa farei? Ma in realtà io non ho scelta, o meglio non ne cerco una, so che questo è il meglio che posso avere, mi consolo pensando che potrebbe andare peggio e così ogni giorno mando giù l'amaro. Ho provato a volte ad alzare la testa, a smuovere l'apatia che vedo nei miei coetanei, soprattutto nella micro società in cui vivo, la scuola, ma sono rimasta delusa tante volte, ho smesso di fidarmi degli altri, cerco di costruire qualcosa con le persone che ho scelto di avere vicino, con cui penso di poter condividere delle aspirazioni, ma non sempre basta, e soffro di queste mie debolezze.

Sono combattuta tra la certezza empirica di non poter fare affidamento sugli altri, sulla coscienza che sarò sempre sottoposta al potere di qualcuno e i moti dell'anima che si ribella. In realtà è un po' colpa dei miei genitori: appartengono a quella categoria di persone che credeva di poter cambiare il mondo attraverso i rapporti umani, che vivevano in uno spirito di condivisione, che sono riusciti a volte a farsi sentire; mi hanno convinto che si può, che tutti abbiamo una voce che vale la pena alzarsi la mattina e tentare di farsi sentire. Ma poi li guardo, e vedo gli sconfitti della storia, io, io sono il frutto della loro sconfitta, io e tutti quei giovani che cercano di evadere in mille modi, concentrandosi solo su se stessi, drogandosi, bevendo, cercando di non pensare. Noi che non siamo i figli dei benpensanti, noi che non abbiamo un papà che ci spiana il futuro, noi siamo il frutto di questa sconfitta. E dico questo perché me lo insegna la mia scuola, la mia società, avanza chi abbassa la testa o chi è intoccabile.

Quando la mia scuola è stata sgomberata i figli dei politici, dei giornalisti, dei professionisti affermati sono stati gentilmente accompagnati fuori dalla polizia, sono rimasti dentro a farsi schedare quelli come me, i figli di nessuno, non ci hanno fatto uscire, nessuno ci ha salvato, e ho sentito i miei professori paragonare la scuola ad una gerarchia, porci ai gradini più bassi. Forse un tempo credevo di poter trovare uno spazio solo per me nella società, cercavo di avere un rapporto alla pari con i professori, di essere considerata un'adulta, senza la mediazione dei genitori, di avere un dialogo, ma il mio posto non l'ho trovato in una classe, dubito lo troverò nel mondo.
Allora vivo facendo quello che mi piace, coltivo i miei interessi, al futuro provo a non pensarci, e quando mi chiedono cosa farò da grande invento una banalità a cui tento di credere.
Una persona mi ha detto che vivo in modo contraddittorio, all'apparenza non credo nella gente, cerco con cinismo di ignorarla, e poi mi faccio travolgere dolorosamente. Forse quella persona aveva ragione, forse è per questo che in fondo non riesco mai ad abbassare la testa ad accettare le cose come vanno, a dire è così è basta, forse è per questo che mi alzo la mattina che lotto disperatamente per ricavarmi uno spazio, forse è per questo che non ho scelto come altri di drogarmi o autodistruggermi o di accettare passivamente, ed è per questo che credo di dover percorrere la strada dei miei genitori, quella dei sognatori, degli ingenui.
I momenti in cui sono felice è quando come 12 anni fa ho voglia di crescere sperando che il mondo in fondo aspetta anche me.
Credo che sia nelle contraddizioni la nostra forza. Non so se questo sconclusionato delirio ha aiutato un'adulta a capire una giovane, ha aiutato una giovane ad esprimersi, ed è molto che ci sia qualcuno disposto ad ascoltarla, addirittura curioso, forse vale la pena alzarsi anche perché esistono persone così, e cercando saprò incontrarle e riconoscerle.

Una giovane che tenta di decifrarsi e spera di aver aiutato qualcuno a chiarirsi le idee.
Giulia Pratticò
 
Lettera 2
 
Già so che se tra 40 anni  dovessi scrivere una lettera a un adolescente non parlerei a nome di una generazione ma in modo del tutto personale. Non credo nella mia generazione credo in me stessa.

Ho 17 anni,  mi sento sola nelle mie idee e priva di certezze. Anche io come lei mi sento smarrita in questa società. Tutta la speranza che lei alla mia età riponeva  nel futuro io non ne ho, le
parlo a malincuore. Persone a cui sono molto legata sono partite dall'Italia andando via non importa  dove , hanno cercato ciò di cui avevano bisogno,le proprie motivazioni e le proprie certezze fuori, non dentro come al contrario ha cercato di fare lei.

Per lei costruire una casa di cui avrebbe tenuto le chiavi  e a cui avrebbe dato asilo ad altri come lei era un obiettivo, al contrario io e molti altri giovani, tendiamo a non costruire intorno a noi perché non ci crediamo più. Siamo ancora prigionieri delle vostre mura e le chiavi per uscire da questa prigione ancora non ci sono.

Due sono le soluzioni : scappare o aspettare.
Siamo laici di fronte alla religione, rassegnati di fronte alla politica e schifati di fronte alle istituzioni. Non sento l'esigenza né la voglia di dare il mio contributo nei canoni stabiliti da questa società, forse  non mi sento padrona delle mie azioni. Il senso della mia vita, delle mie scelte  non so quale sia  immagino ottenere il massimo dalla vita per me . Molte cose che  faccio  non hanno senso  ma  studiare è l'unica cosa importante. Non per diventare, ma per essere libera. Diventare in una società come la nostra è da eroi o da raccomandati! E io non mi sento né l'una ne' l'altra.

È vero, per me conta molto lo star bene con me stessa , ma rimango impietrita e spaventata di fronte alla domanda: "tutto ciò ti basta per affrontare e  superare la fatica di vivere, del farsi ascoltare, del cercare una soluzione perché quello che cerchiamo accada?". Non mi importa di
sembrare fragile perché è vero ho problemi a scendere in campo e misurarmi con gli altri, forse non mi va di farlo perché ho altri progetti, forse anch'io andrò via, fuori, come hanno fatto molte altre persone cercando di riscoprire e alimentare i  propri interessi. Concordo con lei quando afferma che è difficile affrontare le difficoltà della vita se il punto di partenza è lo stare bene con se stessi, perché è doloroso sentirsi soli in una collettività. Ma sorrido di fronte alla sua convinzione di appartenere alla generazione dei sacrifici e noi a quella del benessere.

Ritiene veramente che la mia generazione, o meglio che io non stia facendo sacrifici? Cominci a pensare di non essere nel giusto che la sua verità non sia l'unica e che "il benessere" per noi è un'arma a doppio taglio non un valore.

Voi adulti tendete nelle vostre affermazioni a dare una lezione di vita e a educare: è bellissimo educare , significa tirare fuori e non imporre, come spesso si crede . E allora anche una lettera può aiutare a scoprire cosa c'è dentro ognuno. Ma attenzione "educare" vuol dire anche "venire
educati"perché ognuno di noi è il risultato anche delle persone con cui vive!

Una giovane indecifrabile
 
Arianna Di Stefano
Categoria: BiblioCompetition
lunedì, 09 ott 2006 Ore. 14.59
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