Carlo Silvano


articoli vari

Se dovessi venire...

Per circa quattordici mesi ho lavorato a Padova e avevo un collega di Trebaseleghe. Un bravo ragazzo, nulla da dire. L’unica cosa che mi dava un certo fastidio era che spesso durante la pausa pranzo mi rivolgeva sempre la stessa domanda: “Se dovessi venire a Napoli – mi chiedeva ad un tratto alzando gli occhi dal quotidiano che teneva aperto sul proprio tavolino – ed entrare in un bar a prendere un caffè. Cosa mi dice a me il camorrista della zona?”. Sospiravo e per una decina di secondi lo guardavo diritto in quegli occhi che lasciavano trasparire preoccupazione, smarrimento e una struggente richiesta di aiuto. A parte il fatto che a quel “se dovessi venire” si doveva intendere come una eventuale ed imprevedibile follia commessa dal collega, che magari colpito da una tegola o da un pezzo di cornicione si lasciava poi sospingere come un relitto alla deriva fino alla stazione dei treni per poi arrivare, senza rendersene conto, nel ventre della capitale del Sud, e risvegliarsi a Spaccanapoli. Che dramma! Mi risultava proprio difficile rispondergli. Era una vera fatica perché già ogni fine settimana dovevo resistere agli attacchi del mio primogenito che mi poneva tutti i quesiti che la mente di un bambino di pochi anni può elaborare, per poi prendere con la dovuta serietà i dubbi che assillavano il collega che, in queste occasioni, aveva una faccia che a guardarlo un siciliano gli avrebbe: “Cu’ pecura si fa, lupu su’ mancia”[1].

All’inizio tentavo di fare una discussione seria, e per spiegare il fenomeno criminoso legato alla camorra facevo qualche accenno sulla storia del Meridione. A questo punto la conversazione scivolava immacabilmente sulla questione dell’omertà, e di fronte a certe osservazioni e giudizi di valore espressi dal collega dovevo, a mia volta, fargli notare che a Treviso un assessore ha affermato che i trevigiani hanno paura di denunciare gli imbrattatori, e così gli chiedevo: “Se un trevigiano ha paura delle eventuali ritorsioni di qualche ragazzo che va in giro armato con un pennerello a sporcare i muri della città, perché un napoletano non dovrebbe aver timore di un camorrista che porta la pistola nella cinta dei pantaloni e non si fa problemi ad usarla?”. Poi, visto che anche su questo fronte non si apriva alcuna breccia, facevo ricorso all’ironia. E così spiegavo che a Napoli si stava bene. Anzi si stava talmente bene che per evitare che la “gente del nord” (e qui il “nord” è volutamente messo con la minuscola) venisse a curiosare e magari a prendere in considerazione l’idea di stabilirsi a Napoli, si “inventavano” per giornali e televisioni sparatorie e rivolte di folla contro la polizia con tanto di morti e feriti.

Il mio collega non ha mai creduto a questi miei racconti però… un dubbio lo ha sempre avuto e ancora oggi, in quelle rarissime volte che ci si sente, mi chiede: “Se dovessi venire a Napoli ed entrare in un bar a prendere un caffè. Cosa mi dice a me il camorrista della zona?”. [Carlo Silvano, novembre 2005]

 











[1] “Chi pecora diventa, viene mangiata dal lupo” (proverbio siciliano).

Categoria: Racconti
lunedì, 27 mar 2006 Ore. 13.22
Sondaggio
Calendario
novembre 2024
lmmgvsd
28293031123
45678910
11121314151617
18192021222324
2526272829301
2345678
Ora e Data
Copyright © 2002-2007 - Blogs 2.0
dotNetHell.it | Home Page Blogs
ASP.NET 2.0 Windows 2003