Treviso - Tra le mie conoscenze “trevisane” non pochi hanno un volto solare e, quando ci s’incontra, volentieri – e tempo permettendo – ci si ferma a chiacchierare, a fare quattro ciacoe. Ciò, però, a Treviso non rientra nella norma. E chi ha ricevuto dai genitori l’educazione al saluto, e lo stesso insegnamento a scuola o al catechismo dalla suora che parla del “buon giorno” come segno distintivo degli Angeli, si trova poi un po’ disorientato a vivere non solo in certi condomini dove il vicino di casa anziché rispondere al saluto guarda con sospetto, e un po’ anche seccato, chi ha avuto l’ardire di rivolgergli una parola cortese e bene augurante. Anche in certi ambienti di lavoro si fa fatica a rispondere. Anzi, a volte non si fatica proprio, perché non si guarda in faccia nemmeno la persona che saluta. Questo comportamento, e qui ho l’obbligo di sottolinearlo, non è assunto dai trevigiani solo nei confronti dei foresti, ma anche quando stanno tra loro.
Un freddo pomeriggio del mese di novembre 2004, mentre passeggiavo lungo le rive del fiume Sile ad osservare le placide acque e diverse decine di barconi affondati davanti a un vecchio stabilimento, un amico trevigiano mi raccontava che nella sua ditta, dove è stato assunto nel 2002, spesso si recano ragazzi che studiano all’ultimo anno delle Scuole medie superiori per svolgere tirocini che durano anche un mese, e mai nessuno di questi ragazzi entrando nell’ufficio abbia pronunciato le due fatidiche parole: “buon giorno”. A volte, mi diceva l’amico, questi tirocinanti stanno per ore ad osservare il vuoto assumendo una faccia da ebete, e se lui o un suo collega, per rompere il ghiaccio, rivolge loro un saluto o una parola di benvenuto, ecco che quasi si spaventano e si mettono a guardare il pavimento.
Con diverse persone, sia trevigiane che foresti, ho più volte toccato questo argomento, e da quello che mi hanno riferito e che in diversi ambienti ho anch’io toccato con mano, la difficoltà a salutare si può osservare negli uffici come in fabbrica, e nemmeno ambienti di lavoro particolari, come possono esserlo certi enti ecclesiastici, sono immuni dalla fobia del saluto. [Carlo Silvano]