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PRE.MIO Biblioteche di Roma. Il premio dei lettori
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Recensione di Piperno "Con le peggiori intenzioni"



Recensione di Luciana Cianfanelli, Circolo Rispoli

Già dalle prime pagine l’opera lascia interdetti per la sostanziale distanza emotiva che non è tuttavia imparzialità della narrazione o gusto del narrare oggettivo: il risultato è una condizione, uno stato dell’anima che non ci consente di incontrare una storia importante, capace di coinvolgerci, ma solo ci mette di fronte ad un succedersi freddo di eventi ad “una sola dimensione”, che resta ancorato ad un intrecciarsi arido di microstorie e microcosmi, il più delle volte visti come dal di fuori, senza emozione, senza adesione sentimentale, attraverso un narrare che non cerca (volutamente?) lo spessore, che non indaga l’interiorità, privo di una struttura capace di dar corpo a quella storia-significante che la vicenda dei Piperno avrebbe invece potuto essere.

Il lettore viene così a sentirsi come costretto – senza alcun pathos – all’interno di una sequela ininterrotta di micro accadimenti, di micro eventi che non ci dicono nulla dell’Italia di oggi (come invece la materia e il tempo in cui il romanzo si articola avrebbero ben potuto) né di quella di ieri.
A parte la figura di Bepi e quella del nipote, colte in qualche scorcio felice, tutti gli altri personaggi appaiono come privi di sostanza, cristallizzati, “ad una dimensione”. Tutti si muovono in una condizione di intrinseca assenza di valori (all’infuori di quelli espressi dal falso status dato dalla ricchezza), etica, sentimenti, passioni, nei mondi più diversi, da quello della libera professione a quello dell’impresa, dal mondo di una certa gioventù dorata-privilegiata e gelosa dei propri privilegi a quello delle mirabolanti (tali almeno vorrebbero apparire al lettore più sprovveduto) feste celebrate a diverso titolo, nei nuovi quartieri della Roma borghese o arricchita (Olgiata, Cassia…) in una Roma anch’essa sostanzialmente assente e senz’anima, al di là di quella che le potrebbe venire dalle diverse connotazioni urbanistiche dei quartieri in cui si ambienta la vicenda.

I personaggi appaiono tutti accomunati da una oscura e insensata idea dell’esistenza vissuta (ma spesso anche solo intesa e concepita) come vuota apparenza, tutti indistintamente travolti da un “falso movimento” generico e confuso, ansioso, ansiogeno e privo di orientamento, di una qualsivoglia, indefinita o indefinibile, progettualità-visibilità: mai si avverte in essi l’indignazione per questi oscuri anni Ottanta, così goffi, volgari e afasici, nel loro culto cieco e angusto della ricchezza e dell’apparire.

Forse l’autore (ma non lo dice) ci avrebbe voluto raccontare – attraverso la superficialità vertiginosa e l’assenza di umanità in cui si muovono indistintamente i personaggi – la realtà di un’epoca foriera di quelle tragedie che hanno segnato la fine del Novecento e marcato lo sgomento di questo inizio di secolo, ma tutto ciò resta quasi sempre da spiegare o è così sotteso da non essere percepibile, da dare, ancora una volta, l’idea di un gioco costruito a freddo, infarcito di citazioni letterarie e pseudoletterarie che sembrano neutralizzarsi a vicenda, un gioco pensato per un prodotto di massa.

mercoledì, 07 dic 2005 Ore. 19.12
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