MEDEA: La cruda essenza della materia
di Giorgio Merlonghi - Circolo Rispoli
Studio Completo su Medea
cap. I (MEDEA & GIASONE)
cap. II (MEDEA & FIGLI)
cap. III (MEDEA DEA)
elaborazione drammaturgica di Federico Bellini
con Nicole Kehrberger , Michele Andrei, Giuseppe Lanino, Emilio Vacca,
musiche di Franco Visioli
luci di Giorgio Cervesi Ripa
costumi di Rosa Futuro e Tobias Marx
foto di Anna Bertozzi
movimenti coreografici e regista assistente Rosario Tedesco
regia di Antonio Latella
Produzione: Teatro Stabile dell'Umbria, Totales Theater International, Festival delle Colline Torinesi
Nuovo Teatro Nuovo, maggio 2007, Napoli
A Roma, lo Studio su Medea approderà al Teatro India ad ottobre prossimo
Nicole Kehrberger, vincitrice del premio dell'Associazione nazionale dei critici del teatro 2007
Una Medea sanguigna, carnale, fatale: è quella a cui Antonio Latella ha dato vita nella sua Trilogia-Studio che ripercorre le vicende del mito. Una Medea che è insieme donna, lupa, maga, leonessa, dea; una Medea che protegge e ferisce, accudisce e conquista, crea e distrugge, una farfalla vermiglia in cerca di un volo, un astro in corsa verso una sognata costellazione divina.
Si schiude ai nostri occhi uno spettacolo intenso e travolgente, abitato da passioni antiche e feroci, da sentimenti estremi, esaltati dall'ardore e dalla forza degli interpreti, visceralmente disposti al sacrificio che la tragedia chiede loro. Mai, sulla scena, s'affaccia l'esitazione, il trattenimento, la finzione. Mai sorge il dubbio che Medea non sia Medea, armata del suo folle sorriso amaro, e della sua forza sovrumana di donna e di dea, di amante ardente e di madre efferata. Ci inseguono i suoi nerissimi occhi sferici; come dardi puntuti e fiammeggianti, provocano e avvincono, tradiscono e implorano.
Generosamente temerari anche gli altri protagonisti, capaci di prove fisiche ed emotive urgenti e apicali, pronti ad abitare senza esitazione passioni originarie e polari, a spiccare il salto necessario verso l'abisso che separa le rive dell'umano da quelle del mito.
In un percorso a doppio binario, gli uomini svelano la loro tensione verso le ardite vette della leggenda e del sacro, mentre il mito si umanizza, cristallizzandosi in una combinazione commovente e tragica, che ricorda il Minotauro raccontato da Borges (La casa di Asterione, nella raccolta di racconti L'Aleph, N. d. C.).
Si addensano stridenti accostamenti di opposti: la sacralità del vincolo genitori-figli e la sua ardente rottura, il sentiero antico che ci lega agli avi e la brevità della semina verso il futuro, l'impossibilità di un vincolo eterno e la feroce tenerezza del cuore.
L'assenza quasi totale di parole esalta lo splendore dei corpi e la crudezza della materia in azione; l'opposizione, l'istinto, la fisicità e la sensualità si intrecciano in un tessuto schietto e umorale, fino a dissolversi nella calma sovrana della follia omicida.
Soggioga la sensazione permanente di detenzione fisica e di cattività emotiva; sono quelle sbarre metalliche, quell'alcova-prigione, quella musica inquieta squarciata da luci odorose di sangue, da quell'incendio rosso di pathos.
Solo alla fine, capiamo che dal sacrificio dei cuccioli, da quel materiale umano ingenuo e fertile, sorgeranno le anime, fantasmi sublimati di passate esistenze, ombre, modelli, simulacri di corpi. Dal vortice di ferro e luce si leva così il dispiegarsi lento del mito, accolto dalle parole di un piano racconto; e un canto antico accompagna Medea nella sua ascesa celeste, non più donna né madre, ma dea, luminosa cometa, astro puro del firmamento divino, racchiusa nel suo candido bozzolo lunare, rivolta al ricongiungimento col Padre, sul carro del sole.
Foto di Anna Bertozzi
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Originariamente pubblicato: http://www.amnesiavivace.it/sommario/rivista/brani/pezzo.asp?id=339