Il nostro doppio oscuro
di Livia Bidoli
Attraverso uno specchio. (…) Uno specchio oscurato, pensò; un visore oscurato attraverso cui scrutare. E San Paolo intendeva non uno specchio (…) ma guardando il proprio volto riflesso di fronte a sé, rovesciato.
Un oscuro scrutare, Philip Kindred Dick
Joseph Sheridan Le Fanu intitolò, riprendendo lo stesso versetto di San Paolo, “In a glass darkly” (pubblicato nel 1872, in italiano Attraverso uno specchio scuro, oppure In uno specchio scuro, come preferite), una sua celebre e misterica raccolta di racconti. Misterica non a caso, od al posto di misteriosa, perché il primo racconto Green tea (Té verde), narra di un certo prelato, Jennings, che, preda di allucinazioni, finisce per suicidarsi. Il motivo delle sue allucinazioni, sembra risiedere nell’uso, continuo ed eccessivo, di bere tè verde, sostanza indicata come produttrice o vettore di visioni. La lettura di Swedenborg, un illuminato mistico del ‘700 di cui legge “Arcana Caelestia” e l’ossessione di una scimmia (tipica metafora, nondimeno attuale, della droga), lo gettano nell’angoscia più totale portandolo al suicidio.
Questi i parenti classici e letterari per Un oscuro scrutare di Dick. Una visione, quella di San Paolo, a dir poco manichea e piuttosto antinomica del reale, a forti tinte, tutte imperniate sulla falsa consapevolezza di sé e della realtà che ci circonda. Una weltanschaung di matrice orientale, seguita passo passo dal velo di Maia di Schopenhauer.
Il cammino verso la verità, e/o la realtà è lo stesso che conduce Bob Arctor verso la dissoluzione prima del proprio sé, e poi alla propria riconquista, in senso umano, di un potere speciale, quello di autodeterminarsi, dopo essersi lasciato distruggere dalla droga. La droga ha un nome sintomatico, Morte, la sostanza M (che in inglese suona come D, Death), il cui commercio e diffusione viene perpetrato proprio dalla comunità Nuovo Sentiero che accoglie poi i drogati come manovalanza a costo zero.
Due i temi principali: la realtà del sé, ovvero la propria identità, che si costruisce a partire dalla implosione dello stesso sé che poi si reintegra; la realtà-finzione che produce la droga alla quale tutti credono, anche chi non ne fa uso, essendo partecipe dello stesso sistema e delle stesse strutture di potere e organizzazione. Ecco perché la tuta disindividuante di cui fa uso Bob Arctor come agente non lo protegge né dalla droga, tantomeno dalla corruzione, poiché non è mai veramente invisibile, in quanto il suo nemico è sé stesso in quanto drogato. Un Bob Arctor che deve drogarsi per rendersi simile a coloro che indaga, ed un Bob Arctor-Fred con la tuta disindividuante che non lo ripara dal suo stesso giudizio, dalle sue stesse debolezze di uomo.
In fondo, il doppio che viene rappresentato è un totale fallimento. Lo split, lo spezzetamento della personalità causa un danno sia a lui stesso, sia al dipartimento antidroga, e questo succede perché è sempre lui, con i suoi occhi, che si vede nello specchio scuro, non un altro. Mentre si osserva non può fare a meno di provare pietà per quella parte di sé ancora umana, non ancora annientata dalla sostanza M, quegli occhi che comprenderanno la natura dei fiorellini azzurri coltivati da Donald Abraham e dai suoi adepti.
Etimologia
Guardare attraverso uno specchio scuro significa avere un’imperfetta visione della realtà. L’espressione deriva dagli scritti dell’apostolo Paolo: spiega come ciò che non vediamo chiaramente all’inizio, alla fine (s’intenda il Giorno del Giudizio) riusciremo invero a distinguere.
Riferimenti cinematografici:
Come in uno specchio di Ingmar Bergman (Oscar 1961) per l’Italia e Through a glass darkly per il circuito americano.
A scanner darkly, Un oscuro scrutare, (2007) di Richard Linklater, tratto dall’omonimo romanzo di Dick.