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31. La nozione di Auctoritas nel medioevo

La nozione di Auctoritas nel medioevo

Questo documento è disponibile anche come presentazione powerpoint, scaricala da http://annamaria75.altervista.org/Documenti/Auctoritas-nel-medioevo.ppt

 

Premessa

 

Innanzitutto è utile riportare la distinzione fatta da san Bonaventura nel proemio ai Commentaria in Sententias Magistri Petri Lombardi, tra scriptor, compilator, commentator e auctor:

“Ci sono quattro modi di fare un libro:

Alcuni scrivono parole altrui, senza aggiungere o cambiare alcunché, e chi fa questo è uno scriba (scriptor).

Altri scrivono parole altrui e aggiungono qualcosa, però non di proprio. Chi fa questo è un compilatore (compilator).

Poi ci sono quelli che scrivono sia cose altrui sia proprie, ma il materiale altrui predomina e quello proprio è aggiunto come un allegato a scopo di chiarimento. Chi fa questo si definisce commentatore (commentator), non autore.

Chi invece scrive sia cose che vengono da lui stesso sia cose di altri, riportando il materiale altrui allo scopo di confermare il proprio, questi è da chiamare autore (auctor)”.

 

Quadruplex est modus faciendi librum.

Aliquis enim scribit aliena, nihil addendo vel mutando; et iste mere dicitur scriptor.

Aliquis scribit aliena, addendo, sed non de suo; et iste compilator dicitur.

Aliquis scribit et aliena et sua, sed aliena tamquam principalia, et sua tamquam annexa ad evidentiam; et iste dicitur commentator non auctor.

Aliquis scribit et sua et aliena, sed sua tamquam principalia, aliena tamquam annexa ad confirmationem; et talis debet dici auctor.

 

Vedi anche R. Barthes, La retorica antica, Bompiani, 1972, p. 31:

1) “Lo scriptor ricopia puramente e semplicemente;

2) il compilator aggiunge a quel che copia, ma mai niente che provenga da lui;

3) il commentator s’introduce, è vero, nel testo ricopiato, ma solo per renderlo intellegibile;

4) l’auctor, infine, dà le sue idee, ma sempre appoggiandosi su altre autorità”.

 

Cosa significa auctoritas?

 

      C’è una caratteristica costante negli scrittori del Medioevo: quella di ricorrere a citazioni di opere precedenti e di usarle come garanzia di verità di quanto essi stanno esponendo, come appoggio, come credenziali di credibilità.

      L’uomo medievale cioè sente, nello scrivere qualcosa di nuovo, la necessità di rifarsi a un’autorità che legittimi ciò che dice, la tesi che espone.

      Il riportare “il materiale altrui allo scopo di confermare il proprio” di cui parla Bonaventura indica proprio il far ricorso all’auctoritas.

 

L’auctoritas

 

      Il concetto di autorità (auctoritas) era stato elaborato già in epoca romana, dove aveva assunto una vasta gamma di accezioni.

      Poteva indicare la garanzia della legge, la competenza del senato, il potere dell’imperatore, il prestigio di un oratore.

 

      Il concetto arriva fino al medioevo, precisandosi e restringendosi: auctoritas è innanzitutto quella della Sacra Scrittura, la fonte divina da cui proviene, il valore sacro che riveste, la reverente sottomissione che richiede.

      Oltre all’auctoritas della Bibbia, c’era quella della tradizione interpretativa ecclesiastica;

      S. Agostino parla di eminentissima auctoritas, a proposito della Sacra Scrittura, e di Ecclesiae auctoritas, a proposito della tradizione interpretativa della Chiesa. Rientrano in quest’ultima anche gli scritti dei Padri della Chiesa (la Patristica: Ambrogio, Girolamo, Agostino, Gregorio Magno…).

 

      Dal concetto di auctoritas deriva quello di auctores: il termine designa nel Medioevo quegli scrittori ai quali bisogna rifarsi come garanzia di verità di ciò che si sostiene.

      La citazione di questi scrittori è un mezzo, una tecnica di argomentazione imprescindibile per dare valore e comprovare le proprie opinioni.

      Dante parla di argomenti “di ragion” (basati sulla logica della ragione) e argomenti “di autoritade” o “ex auctoritate” (testimonianze autorevoli di scrittori del passato che “dimostrano” che il discorso, il ragionamento che si sta facendo è giusto); vis rationis vel auctoritatis.

 

Esempi:

1) Dante, Convivio I, I 1: Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia (Aristotele nella Metafisica), tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere.

       Qui Dante cita l’auctoritas di Aristotele per puntellare una sua affermazione e dare a essa maggior peso.

2) Dante, Monarchia II, III (trad. dal latino): Pongo dunque come tesi alla mia dimostrazione che il popolo romano si è assunto a buon diritto, non già usurpandolo, l'ufficio di Monarca, detto Impero, su tutti gli uomini. E questo si dimostra anzitutto così: al popolo più nobile si addice essere preposto a tutti gli altri […]. La nobiltà infatti è virtù e ricchezza antica, secondo che dice il Filosofo (Aristotele) nella Politica; e, stando a Giovenale, nobiltà è, sola e unica, la virtù dell'animo.

       Qui Dante ricorre a due auctoritates come argomenti che sostengano e confermino la validità del suo ragionamento.

 

Sono auctoritates nel Medioevo:

 

Auctoritates cristiane:

Bibbia: Antico e Nuovo Testamento

Patristica greca e latina (Patres)

Scrittori ecclesiastici dell’alto medioevo: p. es. Boezio - considerato cristiano -, Isidoro di Siviglia… (Scriptores)

e

Auctoritates profane:

Poeti e filosofi antichi - greci e latini (Antiqui o Philosophi)

 

Tra i poeti e filosofi antichi:

 

•Virgilio, Ovidio, Lucano, Terenzio etc.

•Aristotele, Ippocrate, Galeno, Tolomeo etc. (queste sono autorità “scientifiche”)

 

Brani critici

 

      S. Battaglia, La tradizione di Ovidio nel Medioevo, in La coscienza letteraria del Medioevo, Liguori, 1965, pp. 32 e sgg.:

      “Da nessuna civiltà intellettuale la citazione autorevole o l’episodio esemplare, da qualunque parte provenissero, sono stati sentiti con tanta urgenza e indispensabilità come nel Medioevo [...].

      Un’opera nuova poteva aspirare al credito nella misura con cui le testimonianze degli auctores suffragavano i suoi argomenti e ne puntellavano e accompagnavano lo sviluppo”.

 

      E. R. Curtius, Il libro come simbolo, in Letteratura europea e Medio Evo latino, La Nuova Italia, 1992, p. 361:

      “Per il Medio Evo, l’acquisizione di ogni verità equivale all’acquisizione di auctoritates tradizionali; […] la comprensione del mondo non si concepisce come funzione creatrice, bensì come accoglimento e ripresentazione di fatti preesistenti […]”.

      “Scopo e lavoro del pensatore: concatenare tutti questi dati sotto forma di summa. Anche l’universale poema dantesco è una summa di tal genere: questo è almeno uno dei suoi vari aspetti”.

 

Medioevo e cultura classica

Come vengono in contatto gli scrittori medievali con la cultura classica?

 

       I manoscritti che contenevano le opere classiche per intero nel medioevo sono rari, poco diffusi.

       Gli scritti letterari degli antichi vengono molto spesso fruiti non dai testi originali, ma “di seconda mano”, ossia da raccolte antologiche, i cosiddetti “florilegi” (florilegia), in latino o in volgare.

       Persino un grande filosofo come Abelardo, ad esempio, confessa chiaramente di citare gli autori classici di seconda mano: «quae enim superius ex philosophis collegi testimonia, non ex eorum scriptis, quorum pauca novi, immo ex libris Sanctorum Patrum collegi: le testimonianze che ho citato più su dai filosofi (antichi), le ho prese non dai loro scritti – ne conosco pochi – ma dai libri dei Santi Padri (della Chiesa)».

       Il pensiero degli scrittori classici viene quindi trasmesso al medioevo sotto forma di un mosaico di citazioni, sentenze (sententiae), o appunto “fiori” (flores).

       Da queste raccolte di sentenze è agevole trarre una citazione che serva da autorità per il proprio scritto.

 

       Uno dei florilegi di sentenze antiche più utilizzati dell’epoca furono gli Ammaestramenti degli Antichi (circa 1305) di Bartolomeo da San Concordio (1262-1347).

       Ecco qualche esempio delle citazioni che riportava, e che potevano fungere da auctoritates:

 

       Aristotile, nel primo [libro] dell’Etica. “Quelli che si veggiono non sapere, si maravigliano di coloro che dicono alcuna grande cosa e sopra lo ‘ntendimento loro”.

       Tullio [Cicerone], nel primo della Vecchia Rettorica. “Molto si conviene studiare di variare lo dire, però che in ogni cosa simiglianza è madre di saziamento”.

       Tullio, nel terzo della Nuova Rettorica. “La varietà massimamente diletta l’uditore”.

       Quintiliano, octavo de Oratoria Institutione. “Ne’ grandi conviti spesso addiviene che, quando dell’ottime cose siamo saziati, la varietà eziandio delle vili piacevoli ci sia”.

 

Aspetti negativi del ricorso all’auctoritas

 

Il continuo ricorso all’auctoritas da parte dei pensatori medievali:

1.    impedisce un reale progresso degli studi e delle acquisizioni intellettuali (al di là di ciò che gli antichi hanno già detto);

2.    è un tutt’uno con uso disinvolto della cultura classica.

 

1.     Impedisce un reale progresso degli studi e delle acquisizioni intellettuali (al di là di ciò che gli antichi hanno già detto):

 

      conoscere vuol dire accettare la “verità” trasmessa dai predecessori e riprodurla nella forma in cui è stata tramandata;

      questa accettazione esime da:

   verifica diretta della validità del sapere trasmesso;

   critica aperta dei contenuti del sapere trasmesso;

   progresso e superamento del sapere trasmesso – la curiositas intellettuale è colpevole superbia e atto di follia (vedi Ulisse in Inferno XXVI).

 

Emblematiche, alla fine dell’VIII secolo, le parole di Alcuino, che pure fu il principale esponente della rinascita carolingia:

“Cosa possiamo fare di più degno, noi, omuncoli giunti alla consumazione dei secoli, che diffondere la lezione degli apostoli e del Vangelo? Forse escogitare nuove dottrine, trattare argomenti peregrini, procacciarci un’inutile fama con pensieri inauditi?”.

 

2.    Uso disinvolto della cultura classica:

 

      I classici sono sì citati e utilizzati come auctoritates, ma spesso il testo non è rispettato nel suo dettato originale; lo si modifica, alterandone le parole e il senso complessivo, per adattarlo forzatamente agli scopi di chi lo cita: «li autori usano l’altrui autoritadi arrecare a loro sententia [piegarle, adattarle alle proprie opinioni], quando comodamente vi si possono arrecare» (Francesco da Buti).

      Inoltre, si fa un uso quasi esclusivamente moralistico dei testi classici, per trarne massime e norme di comportamento etico ammissibili anche secondo l’ottica cristiana.

 

             Oppure, i classici vengono citati – e forzati – come prova a favore, come sostegno dell’argomentazione: tipico l’uso che Dante fa delle opere di Virgilio. Due esempi:

 

1.      Enea e Didone:

          nel Convivio (IV XXVI 8) Dante afferma che Enea ha lasciato Didone, considerata emblema della lussuria, per seguire onesta e laudabile via e fruttuosa;

          nel Monarchia (II III 14-17) Didone è diventata la seconda, legittima, moglie di Enea.

             Nel Monarchia Dante forza il testo dell’Eneide, arrivando a dire che Enea ebbe tre mogli, di tre continenti diversi, perché il suo interesse primario è di “dimostrare” che l’impero romano (di cui Enea è il progenitore) è universale per legittimo diritto.

 

2.      la IV Bucolica di Virgilio:

   Nel canto 22 del Purgatorio, Dante traduce i vv. 5-7 della IV bucolica per riaffermare la secolare immagine di Virgilio quale profeta inconsapevole del cristianesimo;

   Nella VII epistola e nel Monarchia fa riferimento alle stesse parole di Virgilio mostrandosi, invece, perfettamente consapevole del loro reale significato (Vergine = la giustizia; regni di Saturno = età di felicità ideale). *

 

* scarica su questo il mio documento Virgilio nel medioevo e in Dante da http://annamaria75.altervista.org/Documenti/Virgilio-nel-medioevo-e-in-Dante.doc

 

Questi due esempi ci mostrano che, in uno stesso autore (nel nostro caso Dante), il medesimo brano può subire forzature interpretative diverse a seconda del contesto e del fine per cui lo si cita.

 

      L’esegesi dei testi antichi conosce forzature anche macroscopiche, spesso grazie all’uso della interpretazione allegorica, che consente di strumentalizzare, di piegare il testo, anche il più refrattario a un uso edificante (es. Ovidio), ai significati voluti dal commentatore.

      Esemplare il caso della IV bucolica di Virgilio (puer = Cristo)….

      ….o l’Eneide stessa, che già Fulgenzio (nel V sec. d.C.) interpreta come il racconto, sotto veste allegorica, delle sei età dell’uomo.

 

Una nuova idea di progresso della cultura

 

      Tuttavia, a partire dal XII secolo, si fa strada l’idea che il pensiero e la cultura, sempre grazie e a partire dalla conoscenza del sapere antico, possano e debbano EVOLVERE;

      Anche nella celebre similitudine di Bernardo di Chartres (XII secolo), tramandata da Giovanni di Salisbury nel suo Metalogicon, osserviamo un concetto come “vedere di più e più lontano di loro”:

«Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani seduti su spalle di giganti, così che possiamo vedere di più e più lontano di loro, non certo per l’acume della nostra vista o per l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo portati e sollevati in alto dalla loro gigantesca statura».

 

Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantum humeris insidentes, ut possimus plura eis et remotiora videre, non utique proprii visus acumine, aut eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine gigantea.

 

      L’idea stessa di auctoritas cambia accento:

      da imperioso comando, diventa modello da imitare per andare oltre.

      Dice Gilberto di Tournai nel XIII secolo:

«Noi non troveremo mai la verità, se ci accontenteremo di ciò che è stato già trovato… Coloro che scrissero prima di noi non furono dei tiranni, ma delle guide. La verità è aperta a tutti, essa non è stata ancora posseduta per intero».

 

Dal De modo addiscendi di Guibert de Tournai (Guibertus Tornacensis): Nec unquam veritas invenietur, si contenti fuerimus inventis… Qui ante nos scripserunt, non domini nostri sed duces fuerunt. Veritas patet omnibus, nondum est occupata.

Interessante e direi… tipico, il fatto che, persino per proclamare l’esigenza di andare oltre le autorità tramandate, Gilberto abbia citato fedelmente le parole di un antico, ricorrendo quindi – ancora una volta – a un’auctoritas:

Seneca, Epistulae ad Lucilium, XXXIII, 11: Numquam autem invenietur, si contenti fuerimus inventis… Qui ante nos ista moverunt, non domini nostri sed duces sunt. Patet omnibus veritas; nondum est occupata; multum ex illa etiam futuris relictum est.


mercoledì, 28 gen 2009 Ore. 11.02

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