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26. Il Medioevo - Cultura e arte delle origini

Elisabetta Menetti

Il Medioevo - La cultura e l'arte delle origini

 

Indice

La cultura e l'arte delle origini

 

1. Dal mondo antico al Medioevo

Dante e i poeti antichi

Dalla cultura classica alle letterature romanze

1.1 Un'Europa multietnica e mediterranea

L'unità dell'Impero romano

La crisi dell'impero

Le invasioni dei popoli “barbari”

Caratteri dell'Europa medioevale

1.2 Dall'invasione dei Goti al Regno longobardo

Cultura gotica ed eredità classica

La riconquista di Giustiniano

L'invasione dei Longobardi

1.3 Carlo Magno tra storia e leggenda

La formazione dell'impero carolingio

L'alleanza fra papato e Franchi

La nuova identità europea

Il sistema feudale

1.4 La riforma carolingia

La decadenza culturale di fine impero

L'intreccio di politica, fede cristiana e cultura

Gli intellettuali carolingi

Alcuino di York

1.5 Lingue romanze e cultura mediolatina

Invasioni barbariche ed espansione araba

La frattura tra latino scritto e latino parlato

Il Concilio di Tours

Dal latino ai volgari

Cultura mediolatina...

... e cultura popolare

Le lingue dell'Europa altomedievale

I primi documenti in volgare italiano

La nascita delle letterature in volgare

Il latino lingua universale

Testi volgari e modelli latini

 

2. La novità del cristianesimo

Tradizione classica, germanica e cristiana

La cultura ecclesiastica

2.1 La divulgazione della Bibbia

La centralità della Bibbia

L'“allegoria” medievale

La diffusione del messaggio biblico

L'importanza della predicazione

La lingua ibrida dei sermoni

2.2 Mondo classico e mondo cristiano

Politeismo vs monoteismo

L'enciclopedismo

Il conflitto delle coscienze

Correttezza grammaticale o divulgazione?

Il “canone” dei classici

Arti liberali e arti meccaniche

 

3. Le istituzioni

I centri di istruzione

Gli scriptoria

Il lavoro degli amanuensi

I codices

Ora et labora

Il cristianesimo anglosassone e irlandese

 

4. La cultura artistica

4.1. L'arte paleocristiana

La spiritualizzazione della realtà

Il recupero dell'arte classica

L'arte bizantina: i mosaici

L'architettura fra conservazione e innovazione

4.2 L'arte carolingia

L'intervento conservativo di Carlo Magno

4.3 L'arte romanica

La centralità dei monasteri

Le cattedrali romaniche: solidità strutturale...

... e presenze inquietanti

La produzione profana


 

  La cultura e l'arte delle origini

1. Dal mondo antico al Medioevo

Dante e i poeti antichi

Quando nella Divina Commedia Dante Alighieri (1265-1321) descrive il suo ingresso nel Limbo al seguito di Virgilio e l'incontro con i poeti dell'antichità, il suo racconto oscilla fra ammirazione e devozione. In contrasto con l'atmosfera del Limbo immerso nell'oscurità, i poeti antichi si trovano in uno spazio luminoso: siamo nel IV canto dell'Inferno. Virgilio, il poeta latino, che è al contempo guida di Dante e anima del Limbo, indica le figure nella luce: “Mira colui con quella spada in mano, / che vien dinanzi ai tre sì come sire. / Quelli è Omero poeta sovrano; / l'altro è Orazio satiro che viene; / Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano” (Inf. IV 86-90).

Dante vede con i propri occhi gli scrittori dell'antichità che hanno segnato, direttamente o indirettamente, la sua formazione letteraria e culturale (Omero, Virgilio, Orazio, Ovidio, Lucano), accomunati in un'unica “scuola” poetica e letteraria, la bella scuola, che rappresenta il paradigma culturale dantesco e di tutto l'immaginario medievale. Sono autorevoli e illustri i personaggi che il poeta fiorentino ha collocato e quasi eletto al di qua dell'Inferno, esclusi dalla visione di Dio: “sospesi” in una dignitosa solitudine, che li separa dal resto dei dannati, i poeti antichi scontano la colpa di non aver conosciuto (o riconosciuto) Dio.

Dalla cultura classica alle letterature romanze

Siamo ormai all'alba del Trecento e con Dante è giunto a maturazione il lungo e complesso processo di evoluzione che ha visto la cultura latina trasformarsi nella nuova tradizione letteraria europea, attraverso la mediazione del pensiero cristiano.

“Tradizione” significa “consegna” (dal latino traditio) e l'origine della cultura europea consiste effettivamente nel passaggio della cultura classica latina, linguisticamente unitaria (scritta in una sola lingua, il latino) alle nuove letterature romanze, che sono plurilinguistiche, perché concepite nelle diverse lingue romanze (o neolatine, perché appunto derivate dal latino).

Su tale consegna, raffigurata e celebrata nel Limbo dantesco, si fonda tutta la letteratura europea, che nel corso dei secoli ha operato cambiamenti e prodotto innovazioni, custodendo e tramandando un patrimonio comune di idee e valori.

Dante nell'iniziare il suo viaggio - e con esso quello della letteratura italiana - non ha dimenticato i suoi padri: egli sa bene che parte del suo ingegno poetico si nutre dei testi latini, su cui si costruisce quel fenomeno vasto e complesso che è la cultura europea del Medioevo latino. Per Dante l'esigenza di celebrare le radici letterarie della Divina Commedia nasce perciò dalla consapevolezza di quanto sia importante la cultura latina per la fondazione di una nuova letteratura in volgare. E in effetti la storia letteraria del Medioevo occidentale è anche la storia di una trasformazione epocale, che porta non solo al cambiamento dell'assetto politico, giuridico e amministrativo dell'Occidente, ma anche al mutamento di un intero sistema culturale.

1.1 Un'Europa multietnica e mediterranea

L'unità dell'Impero romano

L'Impero romano (cfr. Quadro storico) aveva unito civiltà e popoli diversi nel segno di un'autorità riconosciuta: secoli di guerre e di conquiste avevano creato un'entità territoriale amplissima, comprendente gran parte dell'Europa, dell'Africa settentrionale e del Medioriente, sottoposta alla sovranità di Roma. Tale territorio, diviso in una molteplicità di culture, di religioni e di lingue, era unificato dall'organizzazione amministrativa, politica e giuridica romana e dall'impiego di un'unica lingua, usata in tutte le province romane (cfr. Quadro storico): la lingua latina.

La crisi dell'impero

Con la crisi dell'impero romano, perciò, si sgretola non solo un solido organismo statale, ma anche l'unità linguistica incentrata sul latino che, soprattutto nei documenti scritti, costituiva la lingua ufficiale dell'impero. Per questo si fa convenzionalmente coincidere con la cosiddetta caduta dell'impero romano d'Occidente la nascita di una nuova fase storica, di durata millenaria: il Medioevo (cfr. periodizzazione nel Quadro storico).

Le invasioni dei popoli “barbari”

Ai confini nord-orientali dell'impero romano (segnati dal Reno e dal Danubio) risiedevano alcuni popoli non romani che venivano chiamato “barbari”, con un termine che all'inizio aveva il significato di “non greci” - e in quanto tali “stranieri” - (dal greco bárbaroi, che significa “balbettanti - sottinteso il greco - in maniera incomprensibile”) e che in seguito assunse connotazioni più fortemente negative fino ad assumere il significato di “incivili”. Tali popolazioni, i Germani (cfr. Quadro storico), in parte già presenti nella civiltà romana tra il IV e il V secolo, cominciano poi a integrarsi con maggior forza con la popolazione latina, occupandone lentamente il territorio.

Le migrazioni di popolazioni germaniche , segnano il passaggio di un'epoca e molti scrittori percepiscono con chiarezza che il mondo sta mutando: “rovina il mondo romano - scriveva Girolamo (347-420) - e tuttavia la nostra testa non si piega agli avvenimenti”.

Caratteri dell'Europa medioevale

Comincia a delinearsi così uno dei caratteri fondamentali della storia della cultura occidentale: la mescolanza delle etnie e, di conseguenza, differenze e conflitti culturali. Lo scenario è quello di un'Europa percorsa da ondate migratorie, dove ai Celti, ai Germani, ai Gallo-Romani, agli Anglo-Romani, agli Italo-Germani, agli Ibero-Romani, agli Ebrei si mescolano i Normanni, gli Slavi, gli Ungari e gli Arabi. Pur nella rete intricata di questi spostamenti, l'Europa medievale mantiene l'impronta marcatamente mediterranea propria dell'impero romano da cui essa deriva; il rapporto con l'Oriente, con Bisanzio, con gli Arabi è assai intenso al di là delle fratture politiche e delle guerre territoriali e la cultura islamica è fortemente presente nella cultura e nella letteratura medievali, specie nei territori di confine, come la Spagna e l'Italia meridionale.

1.2 Dall'invasione dei Goti al Regno longobardo

Gli avvenimenti storici che coinvolgono il territorio europeo sono di tale portata da incidere profondamente sull'immaginario e sull'evoluzione culturale e per questo occorre fermarsi sui momenti più significativi di questa fase storica.

Cultura gotica ed eredità classica

E' con l'arrivo dei Goti (cfr. Quadro storico) di Teodorico che nella penisola italiana avviene il primo drammatico confronto tra la cultura classica e il nuovo mondo germanico. A subire le conseguenze di un passaggio epocale sono i due maggiori intellettuali della corte del re goto: Anicio Manlio Severino Boezio (480 ca.-526 ca.) e Flavio Magno Aurelio Cassiodoro (490 circa-583 ca). Boezio e Cassiodoro tentano di conservare l'eredità classica, ancorandola al mondo germanico, senza essere però compresi dall'élite culturale germanica, che si sente minacciata invece dalla rievocazione e dalla riabilitazione del passato romano; per questa ragione Boezio verrà messo a morte dallo stesso Teodorico, mentre Cassiodoro sarà costretto a ritirarsi in Calabria, a Vivarium, dove fonderà un centro di studi. In seguito la cultura medievale sarà debitrice di questi due grandi intellettuali, sia per la riflessione filosofica, sia per lo sforzo di ripensare il mondo classico in rapporto al mondo cristiano.

Ma questo è solo l'inizio di un lungo processo di assimilazione tra culture diverse, che darà vita a nuove (e differenti) letterature nazionali in lingua volgare (in Francia, Italia, Spagna e Germania) e a una cultura europea unitaria, mediolatina e cristiana insieme, in grado di riorganizzare - al di là dei confini nazionali - un sapere antico in relazione alle nuove esigenze spirituali del cristianesimo.

Sono gli stessi avvenimenti storici a contribuire a un complesso processo di integrazione tra la presenza delle popolazioni germaniche, il perdurare della cultura romana e l'affermarsi del pensiero cristiano.

La riconquista di Giustiniano

Innanzitutto, intorno al VI secolo, di fronte ai primi spostamenti delle popolazioni germaniche all'interno dei confini dell'impero, l'impero bizantino (cfr. Quadro storico) cerca di sviluppare una politica di riconquista nella penisola italiana. In particolare con Giustiniano (527-565) l'impero bizantino vive una delle fasi più alte del suo sviluppo, mentre l'imperatore, infatti, promuove alcune importanti campagne per occupare la parte occidentale dell'impero romano e sottrarlo all'invasione germanica. L'impresa, però, è destinata a non durare a lungo: la ritirata, infatti, comincia solo pochi anni dopo la guerra vittoriosa.

L'invasione dei Longobardi

Lo scenario cambia nuovamente: i Visigoti (cfr. Quadro storico), dopo un ventennio riescono a impadronirsi di nuovo della penisola iberica, mentre i Persiani penetrano in Cappadocia, in Armenia e in Egitto fino a Gerusalemme. In Italia dopo la guerra greco-gotica (la guerra combattuta contro i Goti; cfr. Quadro storico), i Bizantini lasciano parte della penisola a un nuovo popolo di invasori, i Longobardi, mantenendo il controllo solo sulla fascia costiera adriatica e sulla Sicilia. Si spiega così la stratificazione culturale della penisola che, oltre all'influenza delle popolazioni germaniche, risente in maniera notevole delle suggestioni orientali e bizantine sia nella cultura letteraria sia nell'arte e nell'architettura.

L'influsso germanico, dunque, non si ferma ai Goti di Teodorico: fra il 568 e il 569 giungono in Italia i Longobardi (cfr. Quadro storico) sotto la guida di Alboino, inizialmente in veste di alleati dell'imperatore bizantino al fine di impedire un ritorno al potere dei Goti. In realtà quella longobarda sarà la prima e vera dominazione da parte di un popolo germanico con una propria e autonoma organizzazione politica e amministrativa, del tutto indipendente dall'impero romano d'Oriente.

Ma quale è stato il rapporto dei romani con il popolo longobardo? Nell'Ottocento la tradizione romantica aveva considerato i Longobardi come un popolo oppressore che aveva ridotto l'Italia in schiavitù. Alessandro Manzoni nell'Adelchi (la tragedia del 1821) aveva definito la popolazione romana come un “volgo disperso che nome non ha”. In realtà oggi sappiamo che fra queste due etnie è avvenuto un complesso processo di integrazione, per il quale appare determinante la conversione dei Longobardi al cristianesimo, con il concorso determinante, come vedremo, di papa Gregorio Magno.

Anche se la presenza longobarda non rappresenta una definitiva rottura con il passato, non c'è dubbio che la convivenza tra il nuovo popolo germanico e i latini, sotto il controllo costante della Chiesa, avvia una nuova trasformazione culturale. Il processo evolutivo del volgare latino, per esempio, subisce un'accelerazione, anche attraverso l'introduzione nel lessico originario di molti nomi e toponimi longobardi. Il volgare, adottato dal popolo germanico come lingua ufficiale, molte parole della lingua madre degli invasori, ancora oggi presenti nel vocabolario italiano, come palco, scaffale, schiena, brodo, panca, e altri ancora.

Ma il destino storico e politico della penisola cambierà ancora: l'antica cultura latino-romana assorbirà nuove correnti culturali, mentre altre influenze linguistiche contribuiranno a mutare e a consolidare l'uso del volgare.

1.3 Carlo Magno tra storia e leggenda

La formazione dell'impero carolingio

Tra l'VIII e il X secolo una nuova e potente dinastia germanica conquista gran parte dell'Europa occidentale: i Franchi (cfr. Quadro storico). Sotto l'autorità del loro re Carlo Magno (768-814) si viene formando una nuova entità politica indipendente, ormai, dall'impero bizantino e contrapposta al mondo islamico: l'impero carolingio (cfr. Quadro storico). Con il grande movimento di riforma religiosa e culturale, promosso dallo stesso imperatore, comincia a delinearsi una rinnovata identità europea, che si riconosce, in primo luogo, nel cristianesimo cattolico, di cui i Franchi, fra tutti i popoli germanici insediatisi su territorio romano, sono i primi, veri difensori a fianco della Chiesa di Roma.

Difatti, i Franchi cristianizzano altre popolazioni germaniche, controllano a est l'avanzata di Avari e Slavi e, soprattutto, bloccano l'espansione nel continente europeo degli arabi musulmani, che intorno al 700 avevano conquistato l'intera Spagna e minacciato di invadere la Francia.

L'alleanza fra papato e Franchi

L'alleanza politica tra papato e Franchi, insomma, aprirà sempre di più la frattura tra il cristianesimo romano e il cristianesimo greco-bizantino: una frattura che verrà sancita definitivamente nel 1054 dallo scisma d'Oriente (cfr. Quadro storico).

Con la conquista di parte della penisola, sottratta ai Longobardi, Carlo Magno determina la formazione e la coesistenza di quattro Italie, che segneranno la vita politica e culturale: un'Italia franca con la valle padana e l'Italia settentrionale, corrispondente al territorio longobardo conquistato; un'Italia della Chiesa, collocata nell'Italia centrale; un'Italia bizantina, comprensiva di alcune aree costiere, di Venezia e della Calabria; un'Italia longobarda (sopravvissuta negli ampi ducati di Spoleto e di Benevento, che comprendevano gran parte del Mezzogiorno). Inoltre, l'Italia franca, la Gallia e la Germania vengono unificate dalla dominazione carolingia, per formare una nuova identità politica e culturale europea.

La nuova identità europea

Si delinea, così, un primo abbozzo dell'Europa con alcuni caratteri principali:

• una base comune di valori e di tradizione culturale, rappresentata dal cristianesimo e dalla cultura mediolatina cristiana, che si traduce in una rete di istituzioni (i monasteri e le abbazie), che preservano e tramandano tale patrimonio in tutto il territorio europeo;
• una pluralità di popoli che, nonostante si riconoscano in una base comune, mantengono diversificate tradizioni etniche;
• un nuovo sistema politico e sociale, fondato sul feudo e sul rapporto di vassallaggio tra i cavalieri e la corona, che, dopo la disgregazione dell'Impero carolingio, darà vita al feudalesimo (cfr. Quadro storico);
• una società statica e gerarchica in cui il mondo è divisibile in tre ordini: oratores (“coloro che pregano”), bellatores (“coloro che combattono”) e laboratores (“coloro che lavorano”). Anche se questa formulazione proposta dal vescovo Adalberone di Laon a partire da un'antica terminologia romana non rendeva conto pienamente della complessità sociale del mondo medievale, vi si possono riconoscere sostanzialmente tre ordini fondamentali: il clero, l'aristocrazia e i contadini (o piccoli proprietari terrieri). Ai servi, schiavi e braccianti veniva riservato l'ultimo posto della classe sociale (cfr. Quadro storico).

Il sistema feudale

Per quanto riguarda, invece, le prime istituzioni feudo-vassallatiche (cfr. Quadro storico), struttura portante della società franca, occorre precisare che esse provenivano dalla tradizione germanica ed erano legate all'esercizio delle armi, con una dipendenza personale fra un capo guerriero e i suoi fedeli armati (i vassalli, da “vassus”, servo).

Durante l'Impero di Carlo Magno, dunque, il vassallaggio si rivolge esclusivamente al sovrano. Carlo Magno, attraverso una politica di donazione di proprietà fondiarie, aveva dato vita a una nuova classe di proprietari terrieri che costituiva un'élite guerriera, capace di procurarsi armi, cavalli, scudieri al servizio dell'impero. E nasceva così una nuova aristocrazia, formata da cavalieri, al centro della macchina bellica carolingia.

Il mondo suggestivo dei cavalieri e di Carlo Magno inciderà a tal punto sull'immaginario medievale da trasformarsi in materia di narrazione, sospesa tra storia e leggenda: lo stesso imperatore diventerà un imponente personaggio letterario, protagonista di memorabili imprese raccontate dalle canzoni di gesta, primi esempi di letteratura romanza (cfr. Profilo letterario, pp. 000). Nel testo riportato di seguito ecco il ritratto di Carlo Magno uscito dalla penna di Eginardo, il dotto vissuto alla corte di Carlo Magno.

1.4 La riforma carolingia

La decadenza culturale di fine impero

I meriti di quello straordinario personaggio che fu Carlo Magno non si limitano alle grandi conquiste e alla riorganizzazione politica e amministrativa di buona parte del territorio europeo. A Carlo Magno si deve, infatti, anche la prima riforma dell'istruzione medievale e la rinascita degli studi classici.

Nei primi secoli del Medioevo, successivamente alla disgregazione dell'Impero, si interrompono i normali canali di trasmissione della cultura (scuola, amministrazione, vie di comunicazione). La distruzione di molte biblioteche provoca la perdita di numerose opere classiche custodite fino a quel momento e arresta, di conseguenza, la conoscenza del passato. Diminuisce il numero di coloro che sanno leggere e scrivere e si determina una crisi dell'istruzione che raggiunge il suo culmine intorno al VI secolo. Il libro per la maggioranza della popolazione diventa un oggetto ricco di mistero, un “tesoro” da conservare chiuso, perché pochissimi erano ormai in grado di aprirlo per decifrarne i segni.

Anche in seguito alla progressiva ruralizzazione (cfr. Quadro storico) della società, la cultura popolare diventa prevalentemente orale. Ma il fenomeno di analfabetismo non riguarda solo le masse rurali (i contadini), gli artigiani, i lavoratori delle città, ma coinvolge anche i ceti medio-alti, la cui preparazione è sempre più povera. Buona parte dell'aristocrazia laica (ossia non ecclesiastica) e del basso clero, infatti, ha una conoscenza molto limitata del latino. È in questa fase di decadenza che si inserisce la riforma culturale di Carlo Magno, che imprime una svolta fondamentale nella storia culturale europea.

L'intreccio di politica, fede cristiana e cultura

In questi secoli, dunque, la cultura dell'Italia è legata all'esperienza carolingia: l'Italia, insomma, è più fruitrice che creatrice di questo rinnovamento culturale. È infatti un re germanico, per di più sostanzialmente analfabeta, a intuire la gravità delle conseguenze civili, politiche e spirituali dell'arretramento culturale di questi secoli. Carlo Magno comprende che la decadenza dei saperi avrebbe minato nel tempo la solidità del suo vasto impero. Decide, così, di promuovere una politica di rinnovamento scolastico e una riforma della Chiesa, che divengono i capisaldi della formazione della cultura medievale.

La riforma carolingia poggia su un principio di fondo: la sacralità della politica. Carlo Magno è convinto che spetti al re la guida del popolo, e quindi anche della Chiesa e della cultura, verso la salvezza. E lo stretto legame tra fede cristiana, formazione culturale e azione politica è alla base anche della sua riforma scolastica. Per questo si patrocina lo studio dei testi letterari latini attraverso una accurata rilettura cristiana, in un confronto tra il pensiero cristiano (la Bibbia) e il mondo classico (i testi degli autori latini). Inoltre, come vedremo a proposito del Capitolare del Concilio di Tours (cfr. § 000), si rinnova l'uso di scrivere gli atti amministrativi, le transazioni economiche, gli atti pubblici, diplomi e placiti (le udienze giudiziarie), le lettere di cancelleria.

Gli intellettuali carolingi

Per diffondere il sapere al di fuori delle mura monastiche e unificare sotto la sua autorità l'insegnamento, Carlo Magno mobilita le migliori forze intellettuali del tempo. Riunisce a corte un gruppo di intellettuali, di provenienze diverse, per formare una classe dirigente colta e istruita: l'anglosassone Alcuino di York (735-804), gli irlandesi Dungal e Clemens, lo spagnolo Teodulfo, i chierici italiani Pietro da Pisa, Paolo Diacono, Paolino d'Aquileia, tutti uomini di Chiesa provenienti dai maggiori centri monastici europei. Uomini di etnie diverse (visigoti, irlandesi, anglosassoni, celti, gallo-romani, germani) confluiscono alla corte carolingia in nome di un patrimonio comune da salvare e da tramandare.

Con questo gruppo di intellettuali (che oggi diremmo internazionale) Carlo Magno fonda una scuola di palazzo, estesa anche ai laici della corte e promuove un circolo letterario che favorisce lo studio degli autori classici e che si occupa anche di realizzare programmi politici e religiosi ben definiti (tra le altre iniziative, ricordiamo la formazione dei quadri dell'impero, l'unificazione della liturgia, la redazione e la revisione di testi ufficiali). Vi si formano i maestri che, andando a ricoprire il ruolo di caposcuola in molti centri monastici ed episcopali, renderanno capillare la rinascita degli studi e la riforma scolastica.

Alcuino di York

Tra tutti si distingue l'inglese Alcuino di York, che diventerà presto il consigliere più ascoltato e insieme il maestro di Carlo Magno, dispiegando una notevole attività di rinnovamento degli studi all'interno della corte e fuori di essa. Egli fonda, per l'appunto, l'abbazia di Tours, in cui apre una scuola degna di ospitare i maggiori maestri dell'impero. Inoltre, come vedremo nel prossimo capitolo, è il primo a distinguere le arti liberali (cioè le discipline praticate dagli uomini di condizione libera) in “trivio” e “quadrivio”, base dell'insegnamento medievale.

Insieme con gli intellettuali carolingi, Alcuino diffonde tra i diversi centri monastici ed ecclesiastici l'uso di una nuova scrittura, chiamata “minuscola carolina”, introdotta soprattutto allo scopo di facilitare il lavoro dei monaci amanuensi, addetti alla ricopiatura dei testi classici: le lettere che la compongono sono piccole, leggibili e ben separate le une dalle altre. La minuscola carolina, d'altronde, risponde all'obiettivo primario della riforma di Carlo Magno: rendere unitaria una cultura che si stava invece disperdendo. E in effetti questa scrittura avrà una forza tale da diventare, nel tempo, la scrittura più diffusa sul territorio europeo.

1.5 Lingue romanze e cultura mediolatina

Invasioni barbariche ed espansione araba

Tra il 600 d.C. e l'anno Mille l'Europa conosce una grande trasformazione linguistica. Con l'affermazione dei regni romano-barbarici si creano infatti nuove frontiere, che accentuano le differenze etniche preesistenti e la lingua latina, parlata nell'ampio territorio romanizzato, sotto la pressione di tante parlate diverse, comincia gradualmente a modificarsi. Contemporaneamente gli arabi riprendono a espandersi con la predicazione di Maometto e la cultura islamica finisce con il toccare tutte le coste meridionali e orientali del Mediterraneo. In questo periodo, infatti, la lingua araba è largamente parlata nella penisola iberica e in Sicilia, dove convive con il greco, la lingua di Bisanzio.

A questo proposito risulta significativa la lettura di una pagina di Usama ibn Mùnqidh, emiro di Shaizar (XII secolo), cui si devono osservazioni interessanti circa la coesistenza di cultura araba e occidentale, che permettono di guardare l'Occidente dal punto di vista di un arabo.

La frattura tra latino scritto e latino parlato

A partire dal 600 d.C., e per quasi due secoli (VI-VIII secc. d.C.), si apre così un periodo di transizione in cui si compie una sostanziale rottura tra il latino letterario o scritto, praticato da una ristretta cerchia di uomini colti, e il latino parlato, ossia la lingua d'uso corrente, strumento quotidiano di comunicazione per la maggioranza degli abitanti dell'Impero.

Questa prima divaricazione tra latino volgare (o parlato) e latino classico (o scritto) è la premessa allo sviluppo delle future lingue romanze (il rumeno, il dalmatico, l'italiano, il sardo, il retoromanzo o ladino, il portoghese, lo spagnolo o castigliano, il catalano, il provenzale o lingua d'oc e il francese o lingua d'oïl), che non hanno origine dal latino letterario, ma emergono dal mutamento del latino volgare.

Il Concilio di Tours

In genere si fa coincidere la presa di coscienza dell'avvenuto mutamento linguistico con il Concilio di Tours, convocato da Carlo Magno nell'813 per discutere il problema della riforma della disciplina ecclesiastica. Durante il Concilio, infatti, l'imperatore franco fece inserire nel documento redatto in latino il seguente protocollo: “Visum est unanimitati nostrae, ut quilibet episcopus (…) omelias (…) aperte transferre studeat in rusticam Romanam linguam aut Thotiscam, quo facilius cuncti possint intellegere quae dicuntur” [Abbiamo deciso all'unanimità che ogni vescovo si preoccupi di tradurre chiaramente le omelie in lingua romanza o tedesca, perché tutti possano capire più facilmente quello che viene detto].

In questo capitolare (“capitolari” si chiamavano le ordinanze emanate dagli imperatori carolingi) viene preso un provvedimento importante che sancisce la nascita ufficiale delle lingue romanze: le omelie devono essere tradotte in lingua romanza per un popolo, che ormai non parla e non comprende più nemmeno il latino volgare. Anche alla classe dirigente franca appare ormai chiaro che alla prima differenziazione fra latino letterario e latino parlato subentra un'ulteriore evoluzione: il latino parlato è lentamente arretrato per fare posto alle nuove (e vive) lingue romanze.

Dal latino ai volgari

Le lingue vivono con gli uomini che le parlano e cambiano con loro: così è stato per il latino dei Romani, che in Italia, in Gallia, in Spagna, nell'Africa del Nord e in molti altri paesi ancora si è lentamente compenetrato con le diversità locali, alle quali si era originariamente sovrapposto. Le lingue d'origine avevano lasciato nel tempo, come ha scritto Erich Auerbach, “un residuo di abitudini di pronuncia, di procedimenti morfologici e sintattici che i romanizzati di fresca data introducevano nella lingua latina che parlavano; conservavano anche alcune parole della loro antica lingua, sia perché erano troppo profondamente radicate, sia perché non si trovavano equivalenti latini; è soprattutto il caso delle denominazioni delle piante, degli strumenti agricoli, dei capi di vestiario, delle vivande eccetera - di tutte le cose, in breve, strettamente legate alle differenze di clima, alle abitudini rurali e alle tradizioni regionali” (E. Auerbach, Introduzione alla filologia romanza, Torino, Einaudi 1963, p. 59-61).

Cultura mediolatina...

Il cambiamento che ha portato alla formazione delle parlate romanze è stato piuttosto lungo: le nuove lingue, infatti, si sono formate nell'arco di circa cinque secoli e su un territorio europeo assai vasto. In questo tempo nella lingua parlata dal popolo si è sviluppata una cultura prevalentemente orale, ossia tramandata a voce e non per iscritto. Dal VI secolo fino almeno al XII secolo, così, la cultura scritta proviene dai chierici e dai sapienti cristiani: è la cultura mediolatina, infatti, a lasciare in questi secoli una copiosa, complessa e articolata testimonianza scritta.

... e cultura popolare

Tuttavia, parallelamente alle iniziative della Chiesa (e in un primo tempo in antagonismo con essa) la cultura orale, che è cultura popolare o folklorica, si diffonde rapidamente, grazie alle performances dei giullari, saltimbanchi e buffoni, ma anche attori che recitano nelle corti poesie erotiche, canti di invettiva e i primi poemi eroici di provenienza germanica. Al repertorio giullaresco, insomma, era affidata la trasmissione orale di testi che ancora non avevano trovato una codificazione letteraria.

Le lingue dell'Europa altomedievale

In generale, le principali lingue che circolano nell'Europa altomedievale sono le lingue germaniche, il latino, il greco dell'Impero bizantino e le lingue semitiche: l'arabo e l'ebraico. In particolare la nostra penisola è percorsa, nei primi secoli, da lingue differenti, che creano un sistema linguistico complesso, formato dall'arabo, dal greco, da diversi dialetti e dall'uso, anche in testi letterari, delle lingue romanze d'oltralpe, e in particolare della lingua d'oc.

I primi documenti in volgare italiano

È però dall'Italia centrale (o mediana) che provengono le prime testimonianze scritte del volgare italiano: da un'area linguistica che si colloca a sud della linea La Spezia-Rimini (Toscana esclusa) e che comprende le attuali regioni della Romagna, delle Marche, dell'Umbria, del Lazio, dell'Abruzzo, dove - non è un caso - si concentrano le più importanti abbazie benedettine, in particolare quella di Montecassino (cfr. § 3.1). Di più, in queste zone rimangono insediati i Longobardi (anche dopo l'invasione franca e carolingia, seppur in un territorio più limitato, cfr § 1.2) i quali si trovano a difendere i confini della latinità dalle scorrerie arabe e dalla pressione greco-bizantina, proveniente dalla Basilicata e dalla Puglia.

La Chiesa ha, dunque, una funzione centrale nella storia della nostra letteratura: per mezzo delle nuove istituzioni ecclesiastiche radicate nel territorio, come le abbazie e i monasteri, per un verso promuove la cultura e, per un altro, si apre alla realtà popolare e contadina, mantenendo un rapporto solidale con la massa dei fedeli. E da Assisi proviene il più antico componimento poetico in volgare, diretto a un pubblico “umile” e cristiano: è il Cantico delle creature, la prima poesia del territorio italiano di cui si conoscano l'autore, Francesco d'Assisi, e la data di composizione (ca. 1224-26).

Ma prima di Francesco, tra l'VIII e l'XI secolo, altri documenti non letterari testimoniano una forte vitalità della lingua volgare scritta. Ricordiamo, per limitarci ai più importanti, una canzone di area umbra-marchigiana di carattere profano Quando eu stava in le tu' cathene (1180-1210), l'Indovinello veronese (fra l'VIII e il IX secolo), il Placito di Capua (960 ca.), la Postilla amiatina (1087 ca.) e l'Iscrizione di san Clemente (1084-1100 ca.). Sono testi di varia natura che attestano l'utilizzo a diversi livelli (dalla canzone al gioco di un chierico, al documento giuridico per arrivare all'iscrizione goliardica) del volgare italiano, come vedremo meglio nel prossimo capitolo.

La nascita delle letterature in volgare

Le letterature volgari dell'Europa medievale non cominciano tutte nello stesso momento. Quando Francesco scrive in volgare italiano il suo Cantico, in altre zone dell'Europa avevano già esordito le prime letterature in lingua romanza. In Francia i primi componimenti si datano intorno al XII secolo: sono le liriche trobadoriche in lingua d'oc o provenzale, i romanzi cavallereschi in lingua d'oïl, i poemi epici, tutti testi che improntano fortemente le origini della nostra letteratura.

Tuttavia l'ingresso delle prime prove scritte in volgare non produce affatto la morte del latino, ma segna piuttosto una separazione marcata tra un nuovo tipo di latino (il latino medioevale o mediolatino), ancora vivo tra gli uomini di cultura, e le lingue volgari, parlate dal vulgus, cioè dal popolo.

Il latino lingua universale

Il latino medievale, insomma, resta una lingua universale, in cui persino la classe dirigente franca (e quindi la classe dirigente di un popolo germanico) sceglie di esprimersi nei documenti ufficiali. E', in definitiva, la lingua del cristianesimo, fattore primo di coesione tra gli uomini di Chiesa in Europa e strumento linguistico principale di tutta la cultura medievale. Infine è la lingua comune e unitaria in cui si esprimono i letterati di ogni parte d'Europa, che con le loro opere di filosofia, di teologia, di scienza, di giurisprudenza pongono i fondamenti della cultura 'mediolatina' (cioè medievale e latina).

Testi volgari e modelli latini

D'altra parte anche i primi testi scritti in volgare delle letterature romanze sono strettamente connessi alla cultura mediolatina, poiché sulla loro stesura agisce il modello linguistico del latino classico, studiato e praticato dalle stesse classi colte, che scrivono i testi.

La cultura scritta dell'Alto Medioevo, quindi, si forma e si sviluppa sull'eredità della lingua di Roma e sulla nuova lingua latina del cristianesimo, della Bibbia, della Chiesa e di tutti gli autori (auctores) di epoca classica e medievale, che contribuiscono a formare un robusto paradigma culturale, alla base di tutto il mondo europeo.

In particolare, nella nostra penisola la convivenza tra mondo mediolatino e mondo volgare produce un marcato bilinguismo (tra la lingua latina e la lingua volgare), che caratterizzerà la produzione letteraria italiana fino almeno a tutto il 1500.

Per comprendere, dunque, le origini della letteratura italiana e delle letterature romanze ci faremo guidare da Dante: cominceremo dall'eredità latina e da coloro che nei secoli successivi alla caduta dell'Impero Romano attesero a conservarla.

2. La novità del cristianesimo

Tradizione classica, germanica e cristiana

La grande novità religiosa e ideologica dell'Europa occidentale è l'affermazione del cristianesimo. Come abbiamo visto nel capitolo precedente (§ 1.2), l'alleanza tra papato e Franchi costituisce un passaggio fondamentale nella storia della cultura europea e, in generale, l'affermarsi del processo di assimilazione del patrimonio greco-romano da parte della cultura cristiana, promossa da Carlo Magno e dalla sua cerchia, risulta decisiva per la storia dell'Occidente.

Tale rielaborazione, tuttavia, era cominciata alcuni secoli prima della riforma carolingia. La cultura medievale è infatti il risultato di un sistema complesso e polimorfo, caratterizzato dalla compresenza di tre tradizioni fondamentali: la tradizione classica, la tradizione germanica e la tradizione cristiana.

La cultura ecclesiastica

In una fase in cui l'istruzione istituzionalizzata entra in crisi, creando un profondo divario tra la massa, prevalentemente incolta, e una ristretta élite di persone colte, questo processo di osmosi tra le tre diverse tradizioni viene condotto soprattutto dalla Chiesa: in particolare i chierici possiedono, anche se in misura diversa, una base culturale comune, che li distingue in modo netto dai laici.

La cultura ecclesiastica mediolatina, dunque, si esprime su due versanti: inizialmente su quello individuale, con l'emergere di alcune grandi personalità che hanno edificato il pensiero teologico cristiano, i Padri della Chiesa, e successivamente sul piano collettivo, con le istituzioni monastiche.

2.1 La divulgazione della Bibbia

La centralità della Bibbia

Al centro della rielaborazione del sapere antico e, in generale, della mentalità medievale figura un libro fondamentale nella storia del pensiero occidentale: la Bibbia. Già dal I-II secolo circolavano molte versioni tradotte della Bibbia, ma si deve a Girolamo (347-420) la prima traduzione in latino, tratta dal testo originale ebraico, chiamata Vulgata, perché diventerà il testo primario di riferimento presso il popolo (vulgus).

La Sacra Scrittura è il libro dell'identità cristiana e la fonte prima della conoscenza. L'esegesi biblica, ossia l'interpretazione del testo biblico, costituisce l'ossatura fondamentale della riflessione su Dio (la Teologia) e sull'uomo (l'Antropologia). Da qui discende l'idea più radicata della visione che gli uomini medievali hanno del mondo che li circonda: il mondo fisico è un'ombra, un riflesso delle realtà spirituali e divine che lo trascendono. Tutte le creature, anche le più umili, portano una traccia di Dio e lo stesso mondo sensibile è come un libro scritto dalla mano divina. Ma solo chi possiede una spiritualità, chi ha fede può leggere correttamente i segni divini racchiusi nel libro della Natura e nelle Sacre Scritture. La Bibbia, in altre parole, contiene la verità divina espressa mediante un linguaggio simbolico, che deve essere interpretato dal cristiano.

L'“allegoria” medievale

Le radici più remote del simbolismo medievale risalgono alla tradizione filosofica greca, in particolare al platonismo e al neoplatonismo, che concepirono il mondo visibile come copia di quello invisibile e l'universo come simbolo decifrabile del divino. Ma è nella tradizione dell'esegesi biblica, e quindi nei commenti ai testi delle Sacre Scritture da parte dei Padri della Chiesa, che tale approccio al reale trova la sua legittimazione. Già S. Paolo (I Corinzi XIII, 12) aveva parlato della realtà terrena come “specchio” di quella celeste, mentre Origene, scrittore cristiano greco (185 ca.-253 ca.) aveva esplicitamente affermato che “da ciò che vediamo sulla terra possiamo capire ciò che è contenuto nei cieli”. Siamo in presenza di un metodo di interpretazione, quello dell'“allegoria”, che mira a cogliere al di là della “lettera” il senso altro o spirituale delle Scritture e che verrà poi esteso all'interpretazione di qualsiasi testo letterario (anche classico) e degli stessi fenomeni naturali.

L'allegoria medievale investe dunque sia la tecnica espressiva degli autori che propongono attraverso immagini concrete concetti astratti per renderli facilmente comprensibili, sia il metodo di lettura dei testi orientato alla ricerca del significato nascosto sotto quello letterale. Il procedimento allegorico viene studiato e perfezionato dai più grandi scrittori cristiani di questi primi secoli; fra gli altri il monaco benedettino Rabano Mauro (784-856). Anche nel mondo islamico il filosofo arabo Averroè (1126-98) individua nel Corano, il testo sacro all'Islam, tre livelli di lettura a seconda del destinatario: quello letterale, per chi riesce a cogliere esclusivamente la favola religiosa; quello dell'immaginazione, che porta a un'interpretazione più matura; infine quello razionale proprio dei filosofi.

La diffusione del messaggio biblico

La Bibbia, inoltre, si presta anche a una divulgazione semplice e chiara del messaggio divino, con la capacità di raggiungere la maggioranza dei fedeli, ancora legati, specialmente nei primi secoli del Medioevo, alle credenze ancestrali e alle superstizioni popolari di matrice germanica. Così all'inizio del VI secolo l'arcivescovo Cesario di Arles, autore di alcuni sermoni (Sermones), raccomandava ai suoi fedeli di non cedere ai riti precristiani e di seguire sempre la parola di Dio. Per questo li esorta a non ascoltare “incantatori, maghi, stregoni, chiromanti”, a non lasciarsi andare a danze o a canzoni, ritenute oscene, “(...) poiché sono dei disgraziati, dei miserabili coloro che danzano senza timore e senza giustamente arrossire davanti alle chiese di santi. Anche se essi giungono alla chiesa cristiani, se ne ritornano pagani, poiché il costume di danzare è un residuo dei culti pagani”. È, infatti, attraverso il culto dei santi, ai quali viene attribuito un potere soprannaturale assai vicino alle forze misteriose della natura di antichissimo substrato, che la Chiesa tenta di esorcizzare il problema della sopravvivenza a livello popolare di questi riti pagani.

L'importanza della predicazione

I predicatori cristiani di questi secoli si trovano ad affrontare la prima grave frattura culturale tra la massa dei fedeli (il popolo) e la ristretta cerchia di intellettuali e chierici, depositari del sapere antico. A loro tocca di mediare tra la cultura scritta dei Padri della Chiesa e quella orale in cui parla il popolo.

Lo scopo dei predicatori è diffondere la parola di Dio e cristianizzare le masse popolari in tutto il territorio europeo. Strumento della predicazione è il sermone (dal latino sermo) ossia una predica intesa a spiegare alcuni passi della Bibbia, assunti di volta in volta come tema da trattare. Il sermone deve attirare l'attenzione del pubblico e per questo motivo è rigorosamente concepito secondo le regole della retorica. Su questo punto, però, occorre fare una distinzione essenziale.

La lingua ibrida dei sermoni

Inizialmente le omelie dei Padri della Chiesa, stese in latino, erano destinate a un pubblico clericale, colto e per questo assai ristretto. Tuttavia la Chiesa comprende presto l'opportunità di “tradurre” il messaggio divino in forme semplificate, in modo che possa essere recepito da un numero più vasto di fedeli. La prassi corrente, dunque, prevedeva l'uso del latino nel sermone rivolto al clero e quello di una lingua ibrida, mista di latino e di volgare, per i laici e, più in generale, per il popolo. Si tratta di una lingua rivolta agli “umili”, molto più flessibile e pronta ad adattarsi alla nuova società: in questo modo il latino classico viene lentamente modificato secondo il mutare degli uomini e del loro universo. E' il “latino cristiano”, più semplice di quello classico, che accoglie termini “volgari”, in modo da essere compreso facilmente dalla massa dei fedeli. Inoltre, poiché i testi sacri erano originariamente scritti in ebraico, in aramaico e in greco, vengono introdotti nel lessico latino nuovi termini orientali come hosanna, alleluia (dall'ebraico) o come evangelium, parabola, ecclesia (dal greco), per addurre solo alcuni esempi. L'introduzione massiccia di neologismi, volgarismi e orientalismi, derivati dall'evoluzione delle lingue romanze e dalla diffusione del cristianesimo, finisce con l'alterare profondamente le strutture grammaticali del latino.

Il cristianesimo, in definitiva, presentandosi in Occidente come una religione nuova, innesca un totale rinnovamento dello spirito, una rivoluzione nel pensare, nell'agire e nel sentire.

2.2 Mondo classico e mondo cristiano

Politeismo vs monoteismo

Un altro problema con cui i Padri della Chiesa devono confrontarsi è il paganesimo (cfr. Quadro storico), che in parte proviene dall'antica cultura greco-romana, conservata nei testi latini e greci, ma che in parte affiora dallo strato profondo delle credenze tradizionali germaniche, ancora assai reattive soprattutto nei ceti inferiori.

Il vero grande confronto culturale ha luogo però con la tradizione antica. E i primi pensatori cristiani, anche se capiscono l'importanza di conservare il sapere antico, rifiutano la risposta dottrinale del paganesimo: il loro obiettivo, di fatto, è quello di impadronirsi di strumenti classici, aggredendo dall'interno l'ideologia pagana, per sostituirvi i valori cristiani.

L'incontro tra mondo cristiano e mondo classico è anche, e soprattutto, un confronto tra due culture religiose differenti: tra il politeismo (il culto di più dei) della religione dei Greci e dei Romani e il monoteismo giudaico-cristiano (il culto di un unico dio). Si tratta dunque di un confronto spesso conflittuale che vede i pensatori cristiani di questi primi secoli impegnati ad assorbire e a rielaborare un grande patrimonio letterario.

Nella provincia romana d'Africa Agostino (vescovo di Ippona dal 395 al 430), in Gallia il vescovo di Tours Martino, in Spagna Isidoro di Siviglia (vescovo di Siviglia dal 600 al 636) e in Italia, come abbiamo visto, Boezio e Cassiodoro (490-583) sono tra i primi a tentare la complessa integrazione tra la cultura antica e quella cristiana.

L'enciclopedismo

In questi primi secoli, inoltre, si afferma la volontà di raccogliere e catalogare tutto il sapere antico in testi di carattere enciclopedico sul modello delle enciclopedie latine. E' il cosiddetto enciclopedismo medievale, che propone sintesi composite di tutta la cultura greca e romana, come parte indispensabile della visione intellettuale dell'uomo del Medioevo.

Le opere enciclopediche più significative sono le Institutiones di Cassiodoro, le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, gli scritti di Beda il Venerabile (640-672), umanista anglosassone, le opere di Giovanni di Salisbury, per ricordare i nomi più rappresentativi.

Il conflitto delle coscienze

Il cristiano colto vive un duro conflitto interiore, che nasce dal riconoscimento della grandezza culturale degli antichi e dall'urgenza spirituale di dominare il paganesimo e di dialogare con il popolo. In generale la preoccupazione è una sola: rassicurare i propri credenti - e tra essi la cerchia dei lettori delle opere patristiche - che, nonostante l'acquisizione del patrimonio classico, non viene consentito alcun cedimento spirituale.

A questo proposito Rodolfo il Glabro, un monaco della Borgogna vissuto nell'XI secolo, racconta nelle sue Historiae (Storie) un aneddoto che esprime assai bene l'angoscia del conflitto, a volte irriducibile, tra le due culture. Egli riferisce che un certo Vilgardo, uomo colto e dedito agli studi dei classici, ebbe una visione (o un incubo), quando in sogno gli apparvero “certi diavoli” sotto le spoglie dei poeti Virgilio, Orazio e Giovenale ringraziandolo di come lui si fosse dedicato ai manoscritti delle loro opere. A questo punto Vilgardo impazzì e diventò eretico, cominciando a “sostenere varie dottrine contrarie alla fede cattolica, asserendo che bisognava credere in tutto e per tutto alle parole dei poeti”. Le parole di pochi potevano dunque essere l'inizio del traviamento e dell'errore.

Correttezza grammaticale o divulgazione?

Come abbiamo visto nel caso dei predicatori, il disagio nei confronti della cultura latina dipende anche da altre ragioni, non strettamente religiose. Esso nasce anche dalla percezione che la massa dei fedeli non riescano a comprendere le citazioni latine degli uomini di chiesa, siano essi chierici o predicatori. Al popolo manca il «iudicium», cioè il gusto e la cultura, per intendere le pagine ornate dei classici. A questo proposito Agostino è il primo a comprendere che non bisogna rompere la solidarietà con il popolo e sentenzia: “è meglio essere ripresi dai grammatici che non intesi dalle masse” (De doctrina christiana).

Tuttavia durante questa radicale metamorfosi religiosa e culturale, il confronto con il paganesimo, istituito in questi primi secoli del I millennio d.C., non conduce a un totale rifiuto della letteratura greco-latina. Al contrario, proprio dalla speculazione antica viene la premessa della nuova scienza teologica.

Il “canone” dei classici

Tra il V e il VII secolo, tra aspri rifiuti e illuminate aperture, si fissa il canone degli autori “classici”, ossia il quadro degli autori da imitare: Virgilio per la poesia epica, Orazio per la satirica, Terenzio per la comica, Lucano per la storica, Ovidio per la lirica e Cicerone per la prosa.

Risulta dunque evidente che gli uomini di cultura del Medioevo si trovano in una situazione al tempo stesso di dipendenza e di autonomia rispetto al passato. Questa situazione è ben definita da una celebre similitudine di Bernardo di Chartres, tramandata da Giovanni di Salisbury nel suo Metalogicon: “Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani che stanno issati sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere di più e più lontano di loro, ma non certo per l'acutezza della nostra vista e neppure per l'altezza del corpo, ma perché siamo sollevati ed elevati dall'altezza del gigante”. Bernardo voleva dire che il dotto medievale si sentiva debitore, sebbene cristiano, della sapienza antica.

Arti liberali e arti meccaniche

La letteratura mediolatina è, dunque, una letteratura fondamentalmente dotta, che si pratica lontano dal popolo e che ha bisogno di modelli con cui dialogare. Per questo i tratti fondamentali non solo della cultura ma anche dell'istruzione nel Medioevo risalgono all'antichità greca e latina. Lo stesso insegnamento medievale richiede, infatti, studi detti “liberali”, perché non tendono al guadagno e si addicono perciò a un uomo “libero”, non obbligato a lavorare per vivere. Così si parla anche di artes liberales (attività liberali) in contrapposizione alle artes mechanicae (attività manuali). Va solo aggiunto il significato della parola “arte” (lat. ars) non coincide con quello moderno di arte, ma con quello di “dottrina”, di disciplina che raccoglie e organizza un sapere o un fare.

Le arti liberali, infine, costituiscono la struttura centrale della didattica medievale e sono suddivise in sette discipline: grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, musica, astronomia. Il primo gruppo (grammatica, retorica, dialettica) è riunito sotto il nome di Trivio (lat. Trivium), mentre le arti matematiche si raggruppano sotto quello di Quadrivio (lat. Quadrivium).

3. Le istituzioni

I centri di istruzione

E' chiaro che tra il V e il X secolo l'intellettuale è per lo più un uomo di Chiesa: un monaco o un chierico. I principali centri di istruzione medievali sono la scuola episcopale, che risiede nella città presso la casa del vescovo, il monastero e le grandi abbazie che si diffondono in Europa a partire dal VII secolo.

Gli scriptoria

Inizialmente queste scuole si ispirano all'integralismo più stretto: un'istruzione fondata essenzialmente su testi religiosi, con la completa esclusione dei classici. In seguito nei monasteri e nelle abbazie si svilupperanno, come abbiamo visto già nel caso di Cassiodoro, dei veri e propri centri editoriali, gli scriptoria. Lo scriptorium è un'ampia sala comune, collocata a volte all'interno della stessa biblioteca.

Il lavoro degli amanuensi

In questo spazio collettivo alcuni monaci (chiamati amanuensi) esercitano il paziente lavoro di raccolta e di trascrizione dei testi classici. E' grazie a loro che vengono conservate e tramandate molte opere classiche, sottratte così alla distruzione e all'abbandono. L'iconografia dell'epoca (in genere miniature) può aiutarci a capire le condizioni difficili in cui operavano questi monaci. Gli amanuensi, infatti, sono spesso raffigurati mentre scrivono con la testa curva, il dorso fortemente piegato, l'atteggiamento attento e proteso sulla pergamena appoggiata su un'asse inclinata o su una superficie piana oppure sulle ginocchia dello stesso scriba.

La fatica, anche fisica, della scrittura è resa assai bene da un anonimo copista dell'XI secolo: “O felice lettore, lava le tue mani, poi prendi questo libro, sfoglialo con delicatezza, tieni le dita lontano dallo scritto. Poiché chi non conosce l'arte dello scrivere ritiene che non costi fatica alcuna. Quanto travaglio comporta invece: oscura gli occhi, spezza le reni e fiacca tutte le membra. Tre sole dita scrivono, ma tutto il corpo sta male (…)”.

I codices

Il libro che usciva dalle mani degli amanuensi era il risultato di una lavorazione lunga e complessa. Esso si presentava come una successione di quaderni, composti da fogli piegati e inseriti gli uni negli altri, in latino codex (codice). Per formare il codice occorreva, prima di ogni altra cosa, preparare il materiale, che poteva essere la pergamena o la carta. La pergamena, che aveva sostituito il papiro egiziano più deteriorabile, era il frutto di una elaborata manifattura. Scelta una pelle di animale (generalmente capra, vitello o pecora), essa veniva trattata con particolari procedimenti di rifinitura, che la rendevano levigata, resistente e flessibile. La pergamena era molto costosa, sia perché il bestiame scarseggiava, sia per la lunga lavorazione richiesta dalla pelle. Accadeva così che molte opere dell'antichità non venissero trascritte o che alcuni codici venissero cancellati e riutilizzati. In seguito venne usata anche la carta, prodotta da un impasto di cellulosa, ottenuto da stracci macerati e ridotti in poltiglia.

Gli strumenti con cui i monaci scrivevano erano il calamo (dove veniva conservato l'inchiostro) e la penna, generalmente d'oca, la migliore perché rotonda, dura e priva di grassi.

Ora et labora

I monaci, dunque, durante tutto il Medioevo hanno un ruolo fondamentale nella vita sociale e culturale tra il V e l'VIII secolo (dalla caduta dell'Impero romano d'Occidente al regno di Carlo Magno), quando si formano le fondamenta della cultura medievale europea.

L'Italia è la culla di un'esperienza fondamentale per la cultura europea: quella promossa da San Benedetto da Norcia (480-549), che nel 530 fonda in Italia il primo monastero dell'ordine: l'abbazia di Montecassino.

Risale a questo stesso periodo un altro centro molto vitale in Italia: lo scriptorium organizzato da Cassiodoro a Vivarium in Calabria verso il 555, scomparso però con la morte del suo fondatore.

I monasteri benedettini, maschili e femminili, si moltiplicheranno rapidamente sia in Italia che in Europa, diventando centri importantissimi per la trasmissione della cultura. Di derivazione benedettina sono anche i celebri monasteri francesi di Cluny e di Citeaux (fondato da Bernardo di Chiaravalle), che diedero vita a loro volta agli ordini rispettivamente cluniacense e cistercense.

Il cristianesimo anglosassone e irlandese

Una fondamentale influenza sulla cultura europea è esercitata dagli anglosassoni e dagli irlandesi; in particolare dall'Irlanda, cristianizzata nel V secolo da Patrizio (il patrono dell'isola), si sviluppa un consistente movimento monastico, promosso da alcune importanti famiglie aristocratiche, impegnate nella conversione dei pagani. Tra i pionieri del monachesimo celtico riveste un ruolo centrale Colombano (540-615), che fonda numerosi monasteri in Irlanda e in Europa, tra cui i più importanti sono quello di Luxeuil (in Francia, Borgogna) e di Bobbio (in Italia, in provincia di Piacenza). Allo stesso modo in Inghilterra, già dal V secolo, si costituisce un importante movimento di rinascita degli studi classici, rappresentato da Beda il Venerabile, autore di numerose opere di carattere enciclopedico.

Come abbiamo visto, proprio il convergere di queste forze intellettuali e l'intrecciarsi dell'elemento irlandese, anglosassone, longobardo e cattolico romano contribuiscono in modo determinante alla rinascita culturale promossa da Carlo Magno, che sancisce la nascita politica e culturale dell'Europa.

4. La cultura artistica

4.1. L'arte paleocristiana

Nell'arco di tempo compreso tra i primi secoli dell'era cristiana e la prima metà del Duecento nella cultura artistica dell'Occidente europeo si riconoscono tre momenti fondamentali: l'arte paleocristiana, l'arte carolingia e l'arte romanica.

Nel vasto territorio dell'Impero romano d'Oriente e d'Occidente dai primi secoli del Medioevo alla fine del X secolo si sviluppa una produzione architettonica, scultorea e pittorica che viene definita “paleocristiana”, perché esprime la spiritualità cristiana delle origini (paleo- vale infatti “antico”).

La spiritualizzazione della realtà

Le opere artistiche di questo periodo nascono con uno scopo essenzialmente morale e didascalico: come avviene anche nella coeva produzione letteraria in lingua latina (cfr. Profilo culturale § 1.5) dei primi pensatori cristiani (Agostino, Girolamo, Boezio e Cassiodoro), anche nell'espressione artistica, figurale e architettonica si avverte il forte e schietto impegno spirituale nel diffondere il pensiero cristiano. Negli affreschi delle catacombe (i primi cimiteri cristiani), nelle miniature dei manoscritti si esprime la tendenza a spiritualizzare la realtà con il ricorso a una rappresentazione piatta e incorporea. Inoltre i soggetti sono prevalentemente tratti dalla Bibbia: le scene vengono proposte mediante uno stile semplice e diretto, che illustra come in un racconto la successione degli avvenimenti trattati.

Il recupero dell'arte classica

Da questo punto di vista lo scarto rispetto all'arte classica è netto: per gli antichi l'opera d'arte poteva avere un valore solamente estetico, mentre per i cristiani essa diventa uno strumento per interpretare e affermare il pensiero cristiano. Tuttavia esattamente come avviene nella letteratura mediolatina e nelle riflessioni dei Padri della Chiesa (§ 2), l'arte classica non viene cancellata, in quanto arte pagana. Viene, anzi, rimodellata e adoprata per esprimere il nuovo immaginario cristiano.

L'arte bizantina: i mosaici

In particolare è l'arte bizantina a fornire motivi per ritrarre la nuova spiritualità cristiana, come il ricorso alla tecnica del mosaico, ritenuto il più idoneo a esprimere l'assolutezza trascendentale del sacro. Il mosaico è un disegno murale composto da infiniti e piccoli pezzi di pasta vitrea: è un insieme luminoso di tessere, ineguali tra loro, che vengono fissate al muro con l'intonaco. A Ravenna la tecnica del mosaico viene messa a frutto in numerosi e celebri monumenti, come il Mausoleo di Galla Placidia.

Anche Teodorico, il re dei Goti (493-526), rilancia l'ideale artistico tardo-antico, unito alla conservazione di alcuni elementi dell'arte germanica, come si può notare nell'edificazione del proprio Mausoleo, ispirato ai mausolei romani ma con forti influenze barbariche. Inoltre tra VI e VII secolo si datano alcuni celebri mosaici ravennati come l'Apoteosi della corte di Bisanzio in San Vitale e la Trasfigurazione in Sant'Apollinare in Classe.

L'architettura fra conservazione e innovazione

È sempre l'arte bizantina a trasporre la tradizione greca e romana nelle prime strutture architettoniche sacre: le prime chiese a pianta centrale con cupola costituiscono l'elemento dominante dell'edilizia religiosa cristiana e derivano il loro impianto dai monumenti antichi. Nel tempo le dimensioni e le caratteristiche architettoniche si complicano e si differenziano: vengono edificate basiliche con o senza transetto, chiese a forma di croce o a navata unica. La prima basilica monumentale romana, voluta da Costantino, è San Giovanni in Laterano, che, rifatta successivamente più volte, è adesso una chiesa barocca. L'influenza dell'arte classica si percepisce, intanto, nella stessa rappresentazione delle figure: ad esempio, la grande dimensione degli occhi viene ripresa e accentuata per simboleggiare un'intensa attività interiore.

Tuttavia a partire dal V secolo nell'Europa occidentale, nonostante la presenza attiva delle maestranze bizantine, si ha una generale e progressiva perdita della conoscenza delle tecniche artistiche usate nell'antichità. D'altronde la diffrazione del sapere antico è un fenomeno vasto che, come si è visto, interessa tutta la cultura medievale.

4.2 L'arte carolingia

L'intervento conservativo di Carlo Magno

Come avviene per lo studio della lingua latina e per la conservazione dei testi classici è ancora a Carlo Magno che si deve la rinascita dell'arte classica. Tra la metà dell'VIII secolo e la fine del X nei centri culturali della corte imperiale (Aquisgrana, Nimega, Inghelheim) e nei grandi monasteri collegati alla famiglia reale (monasteri di Saint-Denis, di Reims, di Tours, di San Gallo tra gli altri) si assiste a un recupero programmatico dei valori formali del mondo greco-romano e alla nascita di un'arte (l'arte carolingia, appunto) che nasce da un lato per contrapporsi alla forte pressione della cultura islamica e dall'altro per dare sostanza e nuovo impulso alla cosiddetta “arte barbarica”, cioè alle forme artistiche proprie delle popolazioni germaniche.

Carlo Magno, ad opera dei suoi artisti, promuove il recupero del modello classico attraverso lo studio dell'arte sacra preesistente (quella paleocristiana) in sintonia d'altronde con il fondamento politico e religioso del suo impero. Le attività dell'arte carolingia sono molteplici: dalla costruzione di nuovi complessi religiosi (come l'abbazia di Saint Denis del 775 o la Cappella Palatina di Aquisgrana dell'805) alla ricca produzione nel settore delle arti applicate, come la miniatura o l'oreficeria.

4.3 L'arte romanica

Dopo la ricca esperienza culturale carolingia si registra una nuova svolta dell'arte medievale: a seguito della rinascita della cultura voluta da Carlo Magno la produzione artistica occidentale prende strade diverse rispetto all'arte bizantina, anche se quest'ultima continuerà a esercitare una forte influenza specialmente nelle arti figurative del mosaico. Tra l'XI e il XII secolo, dunque, nell'Europa occidentale si sviluppa una nuova cultura artistica, definita “romanica” perché nata nel periodo “romanzo”, nel periodo in cui sul territorio europeo (latinizzato e “romano”) maturano le nuove lingue romanze (nate dall'incontro tra la lingua latina e le lingue germaniche) e una nuova produzione letteraria (cfr. Profilo letterario).

La centralità dei monasteri

L'affermazione dell'arte romanica avviene, inoltre, in un periodo di sviluppo e di progresso della società medievale, favoriti, a loro volta, dalla ripresa economica e demografica. Cresce anche la ricchezza nei monasteri, grazie anche alle donazioni dei re e dell'aristocrazia. Scomparsa la corte imperiale di Carlo Magno, i principali centri dell'arte medievale sono i monasteri, mentre la Chiesa rimane la prima committente di opere d'arte. I monaci sono, inoltre, i veri depositari delle tecniche artistiche. Nella copia e nell'illustrazione dei manoscritti, ad esempio, si distinguevano diverse competenze: con i pittori (miniatores), che si occupano di illustrare con piccoli e preziosi quadretti il contenuto del manoscritto, i maestri esperti in calligrafia (antiquarii), gli aiutanti (scriptores) e i rubricatores, ossia i pittori delle iniziali delle parole (dette “rubriche”) con cui si aprono i capoversi e, con un maggior numero di decori, i capitoli dei manoscritti. I monaci si occupano di architettura, di scultura, di pittura, ma anche di altri prodotti artistici: tessono tappeti e sete, fabbricano campane e sono esperti vetrai, ceramisti, smaltatori.

Le cattedrali romaniche: solidità strutturale...

La Chiesa inoltre commissiona le prime grandi chiese o cattedrali, che per le loro caratteristiche di monumentalità e schietta saldezza devono ispirare nei fedeli l'idea della stabilità e della forza del pensiero cristiano. La complessa organizzazione dello spazio conferisce un senso di robustezza: le strutture di sostegno (pilastri semplici e composti) e al di sopra di queste gli archivolti a botte o a volte o crociera creano forti chiaroscuri con effetto plastico. La cattedrale di Sant'Ambrogio a Milano, la chiesa-madre dell'architettura romanica (IX-XII secolo) è caratterizzata dall'utilizzo di grandi volte, che suggeriscono una calma religiosità solenne.

... e presenze inquietanti

Tuttavia accanto all'idea di forza e di robustezza alberga in alcune chiese romaniche l'incubo vero dell'uomo medievale: la paura del peccato e l'orrore per il diavolo e, in generale, per tutti gli esseri mostruosi. Il Duomo di Modena, opera dell'architetto lombardo Lanfranco tra il 1099 e il 1106, ad esempio, è pervaso da un'inquietante fantasia visionaria: nei bassorilievi e nelle decorazioni si bloccano corpi contorti e contratti che esprimono la sofferenza del peccato, diavoli che torturano i peccatori e, come spaventosi simboli del Male, bestie feroci, chimere, mostri di mondi lontani.

Il tema iconografico ricorrente in molte chiese romaniche è il Giudizio Universale, collocato il più delle volte nelle lunette dei portali. Con il richiamo alla sofferenza e alla mostruosità del peccato e dei dannati la Chiesa afferma così la sua missione e il suo potere sui fedeli. Il messaggio è perentorio: solo con l'intercessione della Chiesa l'umanità può essere condannata o assolta. E' chiaro, dunque, che l'arte romanica è un'arte religiosa, impegnata in un'imperiosa teologia della salvezza.

La produzione profana

Tuttavia, quasi a margine di questa fioritura straordinaria dell'arte sacra, si incontrano esempi di una produzione artistica non religiosa. Le straordinarie storie dei romanzi cavallereschi e le imprese epiche cominciano a brillare nelle miniature dei manoscritti e negli affreschi di alcuni castelli. Il castello, infatti, è un altro importante centro di potere dell'Europa medievale, accanto al monastero. I castelli sono fortezze, difese da torri, con cinte di mura e ponti elevatoi. Sono parte integrante del paesaggio medievale e luogo principale, reale e insieme simbolico, in cui si incontrano e si scontrano tutti gli eroi dei romanzi cavallereschi.

Rappresentazioni suggestive di castelli e cavalieri si possono ammirare nelle miniature dei manoscritti oppure nel ciclo di affreschi del Castello di Rodengo (a Bressanone, in provincia di Bolzano, 1220-1215 ca.) o ancora nel tessuto ricamato del museo di Friburgo (1325 ca.) entrambi ispirati al ciclo di Ivano.

Poi all'inizio del XIII secolo è lo stesso Carlo Magno che diventa soggetto delle vetrate della parte nord del deambulatorio della Cattedrale di Chartres: non è il Carlo Magno storico, bensì il personaggio ormai mitico della Chanson de Roland, insieme con gli altri personaggi del ciclo, Orlando, Gano, Marsilio. Anche la storia diventa così soggetto artistico: nello splendido Arazzo di Bayeux - un arazzo non di produzione monastica - viene rappresentato con stile epico e didascalico e con mirabile varietà di episodi, la conquista dell'Inghilterra da parte dei Normanni e il suo eroe vittorioso, Guglielmo il Conquistatore.

martedì, 20 nov 2007 Ore. 12.11

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