A dicembre 2006 mi è capitato sotto mano un comunicato stampa intitolato “Non c’è più buon costume politico”, firmato dal presidente della Provincia di Treviso, Leonardo Muraro, il quale, rispondendo al consigliere provinciale Lorenzo Biagi su una questione relativa ad un invito all’incontro natalizio col vescovo Andrea Bruno Mazzocato, scriveva: <<…mi viene da pensare che non esiste più davvero il buon costume politico […] quella di Biagi è un’uscita davvero poco felice. Perché trovo inopportuno prendersela in questo modo per un errore di una mia impiegata, che come di prassi ha inserito l’invito del Vescovo solo al presidente, senza accorgersi della frase finale in cui si chiedeva di estenderlo a tutti gli amministratori. Non è forse vero che chi lavora sbaglia, signor Biagi? Trovo altrettanto inopportuno di voler mortificare in questo modo il lavoro di una segretaria che in prima persona ha chiamato tutti gli assessori e i consiglieri, ammettendo il proprio errore e la propria responsabilità, mettendoci la faccia per rimediare. Sbagliare è umano, signor Biagi, offendere il lavoro di una persona, un po’ meno […] Proprio il consigliere Lorenzo Biagi, che parla tanto di valori, si attacca a un cavillo come questo, dopo che una seria lavoratrice si è scusata di persona con lui. Anche perché, onestamente, che motivo aveva la Provincia di non estendere l’invito? […] E’ davvero irresponsabile e irrispettoso strumentalizzare politicamente, in questo modo, un fatto che di politico non ha proprio nulla. Chi parla di morale, dovrebbe applicarla in prima persona>>.
Sbadigliando e un po’ annoiato, misi da parte il testo del comunicato stampa, e provai ad immaginare l’atteggiamento che Lorenzo Biagi aveva assunto di fronte a quella segretaria che gli spiegava le proprie ragioni. Poi, i miei ricordi mi portarono alla mattina del 7 luglio 2004, quando fui convocato nell’ufficio dello stesso Biagi, allora direttore sia de “La Vita del Popolo”, settimanale della Diocesi di Treviso, che dell’“Editrice San Liberale”. Biagi stava seduto dietro alla sua scrivania, sembrava sicuro di sé e davanti teneva un foglio che la stampante gli aveva appena vomitato fuori.
<<Qui c’è un e-mail di mons. Pizziolo – mi disse andando subito al dunque – che mi chiede di mettere al posto tuo una suora perché bisogna garantire uno stipendio ad una congregazione religiosa>>.
<<E io cosa devo farci?>>, mi venne da rispondere senza sapere cosa precisamente stavo dicendo e sentendomi il mondo crollare addosso.
Biagi allora mi guardò meravigliato e dicendomi, secondo lui, la cosa più ovvia di questo mondo, aggiunse: <<Tu ti devi licenziare perché io ho ricevuto disposizione dal Vicario generale di garantire uno stipendio ad una congregazione di Suore e quindi devo assumere una figura religiosa al tuo posto. Ma hai capito che monsignor Corrado Pizziolo intende mettere una suora a posto tuo? Come te lo devo dire? Ti devi licenziare e basta!>>.
A quel punto provai a contare fino a dieci ma già al tre mi fermai e gli risposi: <<Io mi devo licenziare? Se le cose stanno così, licenziatemi voi, e io me ne vado. Lo dico sinceramente: se a licenziarmi è lei e Pizziolo, io me ne vado in silenzio senza fare alcuna causa di lavoro. Ma toglietevi dalla mente che sia io a presentare una lettera di licenziamento>>.
Forse un affronto peggio di così non potevo farlo; fatto sta che Biagi alzò subito la voce e ad agitare il foglio che aveva davanti sostenendo che non si poteva disattendere alla volontà del vicario generale di assumere una suora, e che io non avevo alcun diritto di restare a lavorare al settimanale. Fu davvero difficile rimanere in silenzio, essere oltraggiato e ingoiare quella saliva che invece avrei voluto sputare fuori.