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Riflessioni sul carcere: da De Robert a Santo Stefano



Rfilessioni sul carcere: da De Robert a Santo Stefano
Ventotene e Santo Stefano: l'isola come carcere
di Eleonora Regolini - Circolo Basaglia

Vorrei discutere ancora riguardo al libro della De Robert che si, mi è piaciuto, ma che comunque ho trovato troppo "buonista": ci sono pensieri che rimugino senza posa perchè ho difficoltà e quasi vergogna ad affrontarli e provo addirittura reticenza ad occuparmi dell'argomento delle carceri e dei detenuti, poichè non mi sento più (ahimè!) di vestire i panni donchisciotteschi, cosa che amavo tanto in gioventù, quando ero già ben cosciente del fatto che in carcere ci finissero solo i poveri diavoli, e che fosse lo strumento principe dell'oppressione sociale, come è stato sempre anche il manicomio.
 
Può essere che davvero il bombardamento mediatico dei media più "visibili" da tanti e tanti anni mi abbia condotto a credere di essere davvero circondata da malfattori e criminali fino a pensare che l'unico sistema per garantirsi una certa sicurezza sia il carcere o può essere che la maturità estrema incipiente mi condizioni fino a farmi provare insensibilità, indisponibilità a parlare dei poveri detenuti.
 
Il libro della De Robert continuo a trovarlo un pò fuori tempo, in momenti in cui fatichiamo a non essere travolti dalle cronache terribilistiche, orrorifiche dei nostri giorni, dai tanti episodi di violenza che quotidianamente ci vengono sbattuti in faccia con nessuna discrezione. Forse si dà troppa importanza ai tanti fatti di cronaca nera e pochissima a quanto di positivo accade tutti i giorni, anche in Italia. L'ascolto reiterato di telegiornali che sono una sequela di fatti pericolosi per la comunità e quindi per tutti noi, ci induce ad una paura che si fatica a tenere a freno, e che molto spesso è ingiustificata. Ma a questo ci hanno portato e ci portano l'uso di parte che si fa dei telegiornali e dei mezzi di comunicazione di massa.

Forse sarebbe interessante avviare una discussione in questo senso.
Vorrei inoltre farvi conoscere questa mia breve nota su un altro carcere, che ho visitato in una breve vacanza lo scorso giugno.



Ventotene e Santo Stefano: l'isola come carcere

Davanti a Ventotene c'è una piccolissima isoletta chiamata Santo Stefano, utilizzata come carcere duro ed estremo fin dai tempi dei Borboni. Riservato in questo secolo ai soli ergastolani, ed agli ergastolani plurimi (sì, io non lo sapevo ma si può prendere più di un ergastolo), ma da 15 anni circa è stato chiuso del tutto, e lasciato ad un degradante abbandono a cui si sta cercando di porre rimedio con dei restauri appena iniziati.
 
Facciamo una gita al carcere borbonico allora, che in senso architettonico è un "unicum" al mondo, costruito sul modello del teatro San Carlo di Napoli, quindi con tutte le celle su più ordini di palchi, a raggiera intorno ad una garitta centrale da cui si potevano tenere d'occhio tutti i detenuti (ai tempi del massimo splendore -nel 1700- ne ospitava ben 1000!) occupando in tale compito un solo secondino (!) con notevole risparmio di risorse umane...
  
Molto interessante questa ossessione del "guardare", "tener d'occhio", "osservare" tutto il tempo i poveri detenuti chiusi nelle celle (a fare niente) in un penitenziario su un'isoletta sperduta in mezzo al mare da cui non ci si può allontanare senza natanti. Chi ci dà tutte queste informazioni è un ex-secondino, un ex-guardiano tornato, dopo essere andato in pensione, sui luoghi dove prese servizio per il suo primissimo incarico a 18 anni!
 
Quest'uomo ha svolto il resto della sua carriera professionale in altri luoghi di pena, ma ora che è in pensione ha sentito fortissimo il desiderio di tornare in questo posto lontano da tutto, e di dedicarsi a cercare di risistemare tutta la struttura cercando di arginare con il suo pazientissimo, operoso, quasi monastico ma minimo lavoro il degrado in cui è precipitato il posto in tutti questi anni di abbandono.
 
E nel dedicarsi a questo lavoro assolutamente volontario e non retribuito nè richiesto da alcuno, ha sentito forte il desiderio di riportare alla luce il cimitero del carcere, dove giacciono le salme di uomini assolutamente dimenticati da gran tempo da tutti, persino dalle famiglie di origine, che in altri tempi li rinnegavano per motivi di vergogna.
 
Ci ha mostrato le foto del passato "glorioso" di questo carcere, le foto di detenuti dei primi anni del secolo, gli innumerevoli luoghi di lavoro (lavanderia, stamperia, calzoleria eccetera) e ci ha commosso quando ci ha condotti nel cimitero e ci ha mostrato i semplici tumuli di terra ricoperti da sassi, le semplicissime povere croci senza nome che ha piantato lui stesso, che lui ha messo in piedi in ricordo dei morti che sono là seppelliti, e che rimarranno per sempre anonime, e le foto in cui si vede lui stesso che in un giorno dell'anno, il 2 novembre appunto, porta a queste salme un fiore, poichè nessuno mai porterà mai un fiore qui, a questi morti, che sono stati volutamente  dimenticati dalle stesse famiglie di origine.
 
Una storia triste, e anche un mistero sul perchè un uomo che ha contribuito in un certo senso alla persecuzione di queste persone provi poi un ripensamento di tale portata che lo conduce addirittura alla reverenzialità post-mortem di quelli che ha magari torturato in vita (c'era la tortura in questo carcere, la tortura della goccia!).
sabato, 04 nov 2006 Ore. 17.34

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