Sin dai primi studi l’ipertensione arteriosa ha mostrato un’alta
prevalenza nel diabete mellito di cui e’ stata riconosciuta essere, sia
per il tipo 1 che per il tipo 2, la maggiore e la piu’ frequente
complicanza (Mitrenberg K, 1921).
L’
ipertensione arteriosa presenta un’incidenza del 16% nei maschi e del 25% nelle donne diabetiche, nell’eta’ compresa tra i 45 e i 54 anni,
rapportata a un’incidenza del 15%, in entrambi i sessi, in assenza di
diabete. Nell’eta’ compresa tra i 55 e i 64 anni la percentuale di
ipertesi
tra i diabetici raggiunge il 45% dei maschi e il 60% delle donne, in
confronto al 20 e al 30% dellapopolazione non diabetica (Christlieb AR
e coll., 1985).
Gli ipertesi diabetici, d’altra parte, presentano un rischio almeno
doppio di insorgenza di eventi cardiovascolari rispetto ai non
diabetici;
infatti, nelle popolazioni europee, le malattie cardiovascolari sono le
piu’ comuni complicanze nel diabete mellito non insulino-dipendente, e
costituiscono
causa di morte nel 66% di tali pazienti. Una cosi’ elevata prevalenza
di malattia cardiovascolare nel diabete, spesso accelerata dalla
coesistenza di
ipertensione arteriosa, comporta, per la sanita’ pubblica, una marcata
riduzione della capacita’ lavorativa, con costi socioeconomici
particolarmente
elevati per la prematura morbilita’ e mortalita’ cardiovascolare di
questi pazienti (World Health Organization, 1994; Semenkovic CF e
coll., 1997;
Panzram G, 1987; Meigs JB e coll., 1997; Zimmet PZ, 1992; Songer TJ,
1992). L’ipertensione arteriosa, poi, accelera la velocita’ di
evoluzione delle
complicanze del diabete, abbreviando l’intervallo di tempo esistente
fra la scoperta del diabete e l’evidenza clinica sia di retinopatia che
di
insufficienza renale. Infatti appare certo che l’incidenza della
retinopatia sia aumentata nei diabetici con ipertensione, ma esistono
poche evidenze
di eventuali benefici sulla retinopatia da parte di una riduzione della
pressione arteriosa. Viceversa, per quanto concerne le complicanze
vascolari
del diabete a livello renale, esistono ampie evidenze in letteratura
sia dell’accelerazione che l’ipertensione imprime all’evoluzione della
nefropatia
diabetica sia del rallentamento che il controllo della malattia
ipertensiva induce sulla sua progressione (Ritz E e coll., 1987;
Hasslacher C e coll., 1985;
Knowler WC e coll., 1980; Mogensen CE, 1982; Parving HH e coll.,
1987). L’elevazione del rischio per malattie cardiovascolari nella
popolazione
diabetica e’ dovuta all’associazione, cosi’ come gli studi
epidemiologici hanno dimostrato, con i fattori di rischio costituenti
la sindrome
pluridismetabolica, e con gli specifici fattori di rischio della
malattia diabetica, quali la disfunzione endoteliale, la glicazione
delle proteine
e delle lipoproteine a bassa densita’, le anomalie della coagulazione.
Inoltre, numerosi studi hanno mostrato un incremento della
concentrazione di
insulina in un’elevata percentuale di pazienti con ipertensione
arteriosa e nei loro figli normotesi (Welborn TA e coll., 1966; Modan M
e coll., 1985;
Berglund G e coll., 1976; Parillo M e coll., 1988; Singer P e coll.,
1985; Swislocki AL e coll., 1989; Ferrari P e coll., 1991; Grunfeld B e
coll., 1994;
Ohno Y e coll., 1993; Saad MF e coll., 1991), ma una relazione causale
tra iperinsulinemia e ipertensione non e’ universalmente accettata.
Infatti, l’iperinsulinemia non e’ presente in - 411 alcuni gruppi
etnici ad alta prevalenza di ipertensione arteriosa e l’ipertensione
arteriosa
e’ rara in altri gruppi etnici, come gli Indiani Pima, che hanno
un’alta prevalenza di insulino-resistenza (de Courten MP e coll.,
1996).
L’iperinsulinemia, poi, nello studio di Mbanja e coll. (1988) non ha
mostrato correlazione con l’ipertensione e Nilson e coll. (1994) hanno
evidenziato soltanto una correlazione tra livelli di insulina dopo due
ore dal carico di glucosio e pressione media delle 24 ore misurata con
monitoraggio ambulatoriale pressorio, mentre non ha trovato alcuna
relazione tra insulina plasmatica e pressione arteriosa misurata
tradizionalmente.
Infine, la massima parte dei soggetti con obesita’ patologica
(BMI>40), nonostante siano caratterizzati da livelli insulinemici
prevalentemente elevati,
mostrano per lungo tempo assenza di elevati valori pressori e non
presentano una maggiore prevalenza di ipertensione rispetto alla
popolazione normale
(Andronico G, Cerasola G, submitted). Tuttavia, la misurazione dei
livelli integrati di insulina, dopo stimolazione con glucosio, e il
rilievo di misure integrate di pressione arteriosa nelle 24 ore hanno,
in alcune ricerche, evidenziato una relazione tra secrezione di
insulina e
pressione arteriosa, e, del tutto recentemente, Bianchi ha dimostrato,
nei pazienti ipertesi con elevato valore di insulina "sotto la curva,"
una pressione diastolica notturna piu’ elevata rispetto agli ipertesi
con normale valore integrato di insulina, anche se la pressione office
non era differente nei due gruppi di pazienti ipertesi. Inoltre, i
soggetti iperinsulinemici hanno mostrato valori di spessore intimale
carotideo
e di microalbuminuria sostanzialmente maggiori di quelli rilevati nei
pazienti con normale insulinemia (Bianchi S e coll., 1997), suggerendo
che,
nei pazienti con ipertensione essenziale, l’iperinsulinemia oltre che
con piu’ elevati livelli di pressione arteriosa si associ ad una
maggiore
evidenza di danno vascolare. Nei soggetti ipertesi, infatti, l’infarto
cerebrale silente e’ correlato con l’ispessimento del complesso
intimamedia
dell’arteria carotide comune e questa a sua volta e’ proporzionale
all’indice di insulinoresistenza (Kamide K e coll., 1997). Da cio’ si
puo’
evincere come l’insulino-resistenza possa svolgere un ruolo
patogenetico sulla mortalita’ e morbilita’ dei pazienti con
ipertensione arteriosa
(Fig. 4.7.1). D’altra parte anche l’ipertrofia ventricolare sinistra,
noto fattore di rischio cardiovascolare nell’ipertensione arteriosa,
e’ stata trovata associata sia con l’iperinsulinemia sia con un ridotto
uptake del glucosio e del metabolismo ossidativo nei soggetti ipertesi
(Sharp SD e coll., 1992). Paolino e coll. (1997), nel confermare
l’esisenza di una relazione tra ipertrofia ventricolare sinistra e
insulino-resistenza, hanno altresi’ rilevato come alla variazione dal
normale pattern di geometria ventricolare e all’ipertrofia concentrica
sia associato un trend di peggioramento dell’uptake di glucosio insulino-mediato e del metabolismo non ossidativo del glucosio.
fonte: Giovanni Cerasola, Andrea Semplicini