Ruinas. Antonio Zucca, decano della categoria, racconta la sua musica
UNIONE SARDA+
L'orrore di un mondo senza campane
di GIORGIO PISANO «Tu lo sai perché uno finisce suonatore di campane?
Nemmeno io, che l'ho fatto tutta la vita. Suonatore di campane è un
destino, un dono. Ci nasci, insomma. La campana, se riesci a capirla e
ti capisce, è un orologio. Anzi, molto di più: ti dice l'ora, ti dice
che è festa, se è morto un vecchio oppure un bambino, se c'è fuoco, se
c'è messa e perfino se a dirla è un prete di fuori. Un paese senza
campane è un paese morto. Un mondo senza campane non è mondo. «Lo
sapeva bene Peppino, che le suonava discretamente ed era nella
tradizione: sacrista. Avrà avuto una cinquantina d'anni quand'è sparito
dal nostro paese, Ruinas, nel 2004. Dicono, ma sono voci, che fosse il
giorno del suo compleanno. Dicono, sempre voci, che avesse bevuto. Io,
come tutti del resto, so solo che è sparito: puff, e non l'ha più visto
nessuno. Chissà dov'è, se è ancora di questa terra o se bisognerebbe
battere per lui il tocco grave, quello del requiem. «Io non sono
sacrista, non lo sono mai stato. Ma a Ruinas, che non fa neanche
ottocento abitanti, mi sono innamorato delle campane a nove anni.
Adesso che ne ho ottanta di più e ho smesso da un secolo, posso
confermare: è una passione. La campana ti prende, ti segna, ti educa.
Fattelo dire da uno che è stato carabiniere per una vita, prigioniero
in Germania, combattente sul fronte francese e su quello albanese. Ero
anche uno di quelli che doveva spezzare le reni alla Grecia. Eppure,
quando sono tornato qui, nel '51, mica sono andato al bar a raccontare
che io che qui che là. Sono andato dritto dal parroco: fammi suonare.
Se tra campana piccola e campana grande c'è intesa, se sono attonate e
stanno bene insieme (come le nostre), allora è uno spettacolo. E'
musica. Se poi ci metti, come facevamo noi, pure la fisarmonica allora
la gente diventa allegra e danza. Su ballu de prazza e' cresia. Cosa
dici, che la fisarmonica ha un suono triste? E chi lo dice? Lo dici tu
ma solo perché ce l'hai in testa un suono triste. La fisarmonica e le
campane, messe assieme, cantano come nessuno. «A Ruinas c'è scuola, c'è
storia in questo campo. Difatti ci fanno un festival ogni anno, adesso,
ad agosto. Ecco le medaglie e il diploma: a Zucca Antonio, maestro
campanaro. Sono vedovo, cinque figli, quattro femmine e un maschio. Che
ho portato una volta a vedere, a sentire. Sembrava curioso. E ho
creduto che questa passione ce la saremmo passata di mano in mano. Mi
sbagliavo. «Sono rimasto solo, e vecchio. Come decano. Ma i campanari
non sono definitivamente scomparsi. Ce n'è. Ci sono i Minnai, miei
compaesani: bravi. C'è Bruno, il pastore, che ora è l'unico a prestarsi
alla parrocchia e a suonare. «Dico a prestarsi perché la campana è
lavoro, scuola, fatica. Io mi svegliavo alle quattro per l'Ave
mattutina, mi arrampicavo sulla scala e suonavo. Era un segnale, l'ora
di alzarsi. Poi dovevo farlo mezz'ora dopo il tramonto, per le messe,
per i battesimi, per le comunioni, per i morti. Sempre suoni diversi.
No, che non ho mai sbagliato: se sei un campanaro serio non puoi
confondere un tocco di festa con uno di lutto. Quello che vorrei capire
è come mai suonatore di campane non è considerato un lavoro. Conosci
qualcuno che dica: io?, ah io sono pensionato campanaro. «Uomini,
certo. Donne, mai o quasi mai. Quand'ero piccolo qui a Ruinas ce n'è
stata una piuttosto anziana. Andava a suonare dopo il tramonto e,
siccome noi abitiamo vicino alla chiesa di san Giorgio martire, mio
babbo le dava una torcia: per vedere nel buio. Faceva tutto da sola: e
gratis, ovviamente. Volontariato, direste oggi. Non ricordo come si
chiamava anche perché nessuno la chiamava per nome. Per tutti era
soltanto sa foghesa perché veniva da Perdasdefogu. Che fine ha fatto?
Sarà in cielo, era vecchia di una sessantina d'anni quando io ero
bambino. «No, non c'è scuola che tenga. E te lo dimostro, con
Salvatore. Che era mio fratello, riposi in pace. Un campione. Ho
imparato da lui. Mi prendeva le mani e io eseguivo: campana piccola
campana grande, campana grande campana grande campana piccola. Mi
chiedo: a lui chi gliele ha insegnate tutte quelle cose? Le sapeva,
gliele aveva messe in testa Dio. Io bravo? Io, davanti a lui non valevo
una cicca. Pensa che una volta, mentre si trovava a Oristano, ha
chiesto a un sagrestano: mi fai provare a suonare le campane? Si è
scatenato. Da tutto il rione sono venuti a vedere cosa stava accadendo.
Guarda che sono fatti veri, non è leggenda. Salvatore e le campane
erano fatti l'uno per l'altra, per questo ti dico che ci deve essere
amore, altrimenti non funziona. «Ho la quinta elementare, presa con i
corsi serali. Finita la guerra, quand'ero carabiniere in continente,
qualche volta in caserma suonavo la fisarmonica per farmi compagnia.
No, non quella che vedi sulla sedia della mia camera da letto. Era
un'altra, nemmeno bellissima ma mi serviva per combattere la
solitudine. Suonavo, e intanto pensavo al mio paese e a come mi sarebbe
piaciuto se la mia fisarmonica fosse stata accompagnata dalle campane
di San Giorgio. «Certo che le ho sognate le campane, mille e mille
volte. Pinuccia, mia moglie, riposi in pace, non era gelosa. Aveva
capito subito che era come una malattia. Quand'ero giovane, e maestro
campanaro sul serio, sognavo di uscire da casa, correre verso la
chiesa, salire sulla scala del campanile, pronto ad aggrapparmi: e
invece cadevo. Non so perché, non so come, però cadevo. E allora mi
svegliavo scosso, preoccupato. «Le buone campane non devono essere solo
di bronzo ma soprattutto bene appaiate. L'anno scorso, al festival, mi
hanno portato cinque piccole campanelle, una di fianco all'altra su
un'asta: suonale, mi hanno chiesto. Volevano vedere il decano in
azione. Sono rimasto senza parole: come si può pensare che cinque
campanelle siano l'equivalente di un campanile? E' che alle nuove
generazioni bisogna spiegare tutto. Non hanno grandi colpe,
intendiamoci: oggi i parroci preferiscono i dischi, le campane
registrate su nastro. Premi un tasto e vai. Che tristezza. Non sanno
che la campana è il cuore del paese, il punto di riferimento di tutta
la comunità. Togli la campana e non c'è più comunità. «Le regole da
insegnare sono poche, ma c'è qualcosa che non puoi tramandare:
l'esecuzione. Prendi la festa di San Teodoro, che ha un annuncio con
tre tocchi e un tocchetto. A forza di provare tutti sono capaci di
farli, tre tocchi e un tocchetto. Ma un conto è saperli fare, altro
conto è essere maestro. Non parlo di me ma di mio fratello: sentirlo
era un piacere per le orecchie. «E visto che stiamo parlando di
orecchie diciamo un'altra cosa: campanari sacristi è vero, campanari
sordi è una bugia. Io, per esempio, ci sento poco perché durante la
guerra mi è scoppiata una mina sotto gli occhi. Ci sento poco perché il
diabete ti abbassa l'udito. Ma le campane, sia chiaro una volta per
tutte, non c'entrano. Le campane non addormentano l'orecchio. Lo
svegliano. «Ricordo vagamente l'ultima esecuzione, che tra l'altro era
a richiesta, e quindi ci mettevi più esperienza che cuore. Rammento
invece un'estate di molti anni fa: luglio 1982. Un incendio che arriva
da Villa sant'Antonio surriscalda il paese, riempie le strade di fumo e
toglie l'aria. Saranno state le tre e mezzo, le quattro del pomeriggio.
C'era ancora parroco don Pani. Corro in chiesa: che facciamo? Le fiamme
ci stavano circondando. Mi ha guardato, sicuro: suona le campane. A
martello, tocchi ininterrotti di campana piccola e campana grande,
tocchi e tocchetti che si mescolano per dare un messaggio urgente alla
popolazione. Formidabile la voce delle campane. «Un suonatore vero,
perfino uno di ottantanove anni, non ha grandi storie da raccontare.
Nella esistenza di uno come me, la vita del paese e la mia finiscono
per combaciare. E di un villaggio cosa vuoi raccontare? Potrei dirti di
quella volta che, alla vigilia della visita di leva a Cagliari, i
ragazzi hanno rotto la campana maggiore. Erano allegri, molto allegri e
verso le due del mattino si sono ritrovati a cantare vicino alla chiesa.
Quand'è stato? Fai una cinquantina di anni fa. A un certo punto hanno
deciso di svegliarci tutti e si sono attaccati alle corde. Quella
rotta, di campana, l'abbiamo dovuta portare in officina a Tempio, dove
l'avevano costruita. Seicento lire ci avevano preso per ripararla.
Seicento lire di allora. «Ora che sono in pensione anche come suonatore
di campane, ora che vado e vengo tra Ruinas e le case dei miei figli,
mi capita di tornare col pensiero a quella prima volta: ero un tappo,
un bambino molto piccolo, e quel campanile altissimo. Non lo so cos'è
stato, ma qualcosa è sicuramente successo se per tutta la vita non ho
smesso di pensarci. L'avrei fatto come lavoro, fosse stato possibile.
Avevo energia da vendere: questa casa, questo salottino dove adesso
stiamo parlando io e te, l'ho costruito io. Mattone su mattone. Ma a
me, in fondo all'anima, piaceva suonare: le campane e i valzer con la
fisarmonica. Mi piaceva il suono di quella musica. «La vita m'ha fatto
carabiniere e carabiniere sono rimasto sempre. Quando me ne andrò,
credo che toccherà a Bruno, il pastore, a darmi il tocco del morto. E'
un tocco lungo, che ha come uno strascico. Nella lapide vorrei che ci
fosse scritto, oltre il mio nome, che ho servito l'Arma. E anche che ho
suonato le campane. Zucca Antonio, maestro campanaro. Si può, vero? O è
vergogna oggi a dire che hai suonato campane per tutta la vita?»
domenica, 30 lug 2006 Ore. 16.30