Praza de Cresia. In Rete dall'11\06\2006


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Anno 2007

Anno 2006

RINALDO FALSINI. L’altare verso il popolo è scelta conciliare

Domani 29 settembre 2006, festa di  San Michele Arcangelo, patrono della Polizia, mons. Ignazio Sanna celebrerà la sua prima messa in cattedrale rivolto al popolo. Verrà riposizionata, infatti la mensa mobile, rimossa il 5 marzo scorso, in attesa di una sistemazione definitiva di quella fissa. A tal proposito cade a fagiolo lo studio del liturgista Rinaldo Falsini che definisce in VITA  PASTORALE n. 10 ottobre 2006  "L’altare verso il popolo è scelta conciliare".

Riconosciuta la piena legittimità della decisione conciliare, è possibile ora riaprire un dibattito.
Assieme al passaggio dal latino alla lingua parlata, l’altare verso il popolo è stato uno dei primi frutti del Concilio che ha riscosso un’accoglienza rapida e favorevole in tutte le chiese cattoliche. La sua modalità applicativa non è stata contestata da alcun gruppo, come quella sulla lingua, ma ha conosciuto ugualmente lentezza e sofferenza per una soddisfacente sistemazione dell’altare sul piano artistico e celebrativo. Basti pensare che la Nota pastorale dell’episcopato italiano su L’adeguamento delle Chiese alla riforma liturgica risale al 1996.
Invece il generale consenso è stato infranto a partire dal 1993 con una pubblicazione dal titolo provocatorio Tournés vers le Seigneur (edizione francese di K. Gamber, prefazione di J. Ratzinger) con riflessi immediati in Italia. La critica si è protratta – puntualmente seguita su queste pagine (nel 1996 e soprattutto nel 2001: VP 5/2001, pp. 50-51, "L’orientamento di chiese, altare e preghiera") – fino alla scorsa primavera che ci ha offerto in lingua italiana il piccolo saggio di U.M. Lang Rivolti al Signore (Cantagalli 2006, Siena, edito in inglese nel 2004 con la prefazione del cardinale J. Ratzinger). Attorno a questo libro si è sviluppata una discussione molto vivace con riferimenti critici alla celebrazione verso il popolo fino a chiedere una "riforma della riforma". La Sacrosanctum concilium non accenna alla celebrazione verso il popolo né all’erezione di nuovi altari, così si esprime l’autore. La decisione è frutto delle istruzioni post-conciliari. Occorre ritornare almeno all’orientamento della preghiera eucaristica verso l’Oriente, verso il Signore che dall’Oriente è venuto e all’Oriente riapparirà.
Lasciamo in disparte ogni dibattito sulla storia e sulla natura, compresa la terminologia, dell’altare verso il popolo e affrontiamo direttamente l’origine conciliare della proposta. Proprio durante il Concilio è maturata l’idea ed è stata presa la decisione. Ritengo doverosa questa precisazione (di cui ho anticipato la notizia in Settimana 28-29/2006, p. 2). Intendo avvalermi della documentazione in mio possesso, avendo partecipato ai lavori conciliari come addetto alla segreteria (verbalista) della Commissione conciliare di liturgia, dall’inizio del dibattito sulla Sacrosanctum Concilium fino alla sua approvazione finale (22.10.1962-4.12.1963).
L’intera ricerca si muove intorno all’art. 128 del cap. VIII sull’"Arte sacra e la sacra suppellettile" relativo alla revisione della legislazione circa gli edifici sacri, che è sfuggito all’attenzione dei nostri studiosi. L’articolo, già presentato come n. 106 nello schema di costituzione della Commissione preparatoria del 1962 – corredato da una Declaratio che è alle origini di tutta la problematica, diventato 104 nel capitolo sull’arte sacra durante la discussione conciliare, nella quale subì alcuni ritocchi – è risultato articolo 128 nel testo definitivo del cap. VII. Dalla citata Declaratio è ripresa direttamente la normativa, anzi la stessa formula riassuntiva dall’istruzione Inter oecumenici, del 1964, all’Ordinamento generale del Messale Romano.
Seguiamo direttamente il cammino dell’art. 106. Esso mette esplicitamente in evidenza tra i luoghi sacri "la forma e l’erezione degli altari"; il testo è rimasto quasi intatto fino a oggi, seguìto dalla Declaratio che ne precisa ampiamente le modalità applicative, su cui ritorneremo. Nello schema di costituzione distribuito ai padri l’articolo diventa 104 del cap. VIII sull’arte sacra e, sottoposto alle osservazioni dei padri, viene ritoccato su proposta della rispettiva sottocommissione con l’inserimento della frase «si rivedano quanto prima, insieme ai libri liturgici a norma dell’art. 25, i canoni e le disposizioni», ecc. In pari tempo la Commissione conciliare prende la decisione di unificare i due capitoli VI e VIII, cioè quello sulla suppellettile e quello sull’arte sacra che diventa cap. VII sull’"Arte sacra e la sacra suppellettile", e il nostro articolo il 128 del cap. VII della costituzione.
La sottocommissione presieduta da monsignor Carlo Rossi, vescovo di Biella, prende in esame l’intero capitolo e a proposito del nostro articolo fa rilevare le difficoltà della sua attuazione, sollevate da molti padri, suggerendo la ristampa e la distribuzione della Declaratio come del resto «molti padri hanno richiesto». Così a nome dell’intera Commissione monsignor Rossi nella relazione sui due capitoli tenuta ai padri conciliari il 31.10.1963 dichiarava: «Infine non pochi padri, per una più retta interpretazione di quanto disposto in alcuni articoli, specialmente sui canoni e statuti da rivedere in riferimento all’arte sacra, hanno chiesto che fossero aggiunte pratiche determinazioni. Anche se non spetta al sacrosanto Concilio ecumenico il compito di stabilire i particolari, è sembrato sufficiente dare sommariamente alcune indicazioni, sulle quali spetta alle commissioni postconciliari il compito di dare disposizioni» (si veda: Emendationes XI, cap. VI e VIII, 1963, p. 9).
In appendice del fascicolo, pp. 20-21, è pubblicata la Declaratio all’art. 104, ora 128. I titoli dei singoli numeri si riferiscono alle chiese, alle sedi presidenziali, all’altare maggiore, agli altari minori, alla custodia dell’eucaristia, all’ambone, ecc. Due frasi meritano di essere segnalate perché riassuntive e programmatiche della nostra questione (riprese dall’istruzione post conciliare Inter oecumenici 91 e dalla Institutio, ovvero OGMR 262 ora 299) relativa al distacco dell’altare dalla parete e alla celebrazione verso il popolo: «Altare maius, quod iam ea ratione a pariete seiunctum sit, ut facile circumiri queat, congruenter erigatur loco intermedio inter presbiterium et plebem» (dal n. 4); e «Liceat sacrificium Missae celebrare versus populum in altari apto» (dal n. 6).
L’assemblea dei padri conciliari su 1.941 votanti espresse: placet 1.838, non placet 9, iuxta modum 94 (tutti sull’art. 130, nemmeno uno sull’art. 128; si veda: Modi V., Arte sacra deque sacra suppellectile, 1963, p. 15). All’approvazione della costituzione Sacrosanctum concilium seguiva la fase di applicazione a opera del nuovo organismo detto Consilium ad exsequendam presieduto dai cardinali G. Lercaro e A. Larraona che, in data 26.9.1964, controfirmavano l’istruzione Inter oecumenici. Sotto il titolo "L’altare maggiore", questa dichiarava: «È bene che l’altare maggiore sia staccato dalla parete per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo. Nell’edificio sacro sia posto in luogo tale da risultare come il centro ideale a cui spontaneamente converga l’interesse di tutta l’assemblea» (91).
Era il passo definitivo del cammino che non si limitava alla semplice proposta "di celebrare rivolti al popolo", ma disponeva tanto l’autonomia dell’altare che la sua centralità ideale. Tre aspetti indivisibili che cambiano totalmente la posizione tradizionale degli ultimi secoli, finché nel Messale del 1970, promulgato da Paolo VI, la frase sopra citata veniva inserita nell’Ordinamento generale 262, diventato oggi 299, con questa formulazione: «L’altare sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo: la qual cosa è conveniente realizzare ovunque sia possibile. L’altare sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l’attenzione dei fedeli».
Ritornando alla citata istruzione, entrata in vigore per l’Italia il 7.3.1965, quindi in pieno svolgimento del Concilio, non si può non sottolineare con il teologo-liturgista Pierre-Marie Gy che «la celebrazione rivolta al popolo nella riforma del Vaticano II è stata la conseguenza immediata della messa dialogata e della lingua volgare riconosciuta e legittimata dall’autorità romana a meno di un anno dopo la Costituzione liturgica e mentre il Concilio era ancora in corso» (La Maison-Dieu, 229, 2002/1, p. 175).
Di particolare interesse appare la riflessione del liturgista francese P. Jounel nel 1965: «Il Concilio si è inserito in questo rinnovamento. Ogni mattina si celebrava la messa rivolti verso l’aula conciliare, mentre al concilio Vaticano I il celebrante voltava le spalle ai padri» (cf Commento all’Istruzione del 26 settembre 1964 per l’applicazione della Costituzione liturgica, Desclée 1966, Roma, pp. 141-142). Cadono così tutte le accuse e le illazioni sulla celebrazione verso il popolo come estranea al Concilio e come semplice frutto delle istruzioni post-conciliari.
Riconosciuta la piena legittimità conciliare della scelta, si può aprire ora un nuovo dibattito che prenda sul serio l’esperienza della riforma liturgica compiuta in questi quarant’anni – come è emerso nel IV Convegno internazionale su "Lo spazio liturgico e il suo orientamento", svoltosi al monastero di Bose nei giorni 1-3.6.2006 – e al tempo stesso le critiche mosse alla riforma liturgica. Confrontando le esperienze positive e negative, sarà certamente possibile trovare una soluzione concordata.
Non si tratta di un semplice passaggio dalla «celebrazione rivolti al popolo», ecco l’espressione propria del linguaggio liturgico ufficiale fin dal 1964, all’"orientamento nella preghiera rivolti al Signore", il primo per la liturgia della Parola e il secondo per la preghiera eucaristica. Non si deve infatti dimenticare che la preghiera liturgica, "rivolti al Signore", è diretta non a Gesù Cristo ma al Padre per Cristo nello Spirito e che il canone romano alla luce del linguaggio e della storia è orientato verso l’alto: Sursum corda, «In alto i cuori», cui il popolo risponde: «Sono rivolti al Signore».
Non essendo possibile rivolgersi tutti insieme in preghiera verso Oriente, si potrebbe pensare a una croce gloriosa, collocata in alto sopra l’altare, come punto di convergenza dello sguardo orante di tutta l’assemblea. È un suggerimento conciliante e conclusivo del citato convegno di Bose, che merita rispetto ma non convince.
Rinaldo Falsini
Categoria: Rassegna stampa
giovedì, 28 set 2006 Ore. 23.11

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