Oggi, il problema di Dio è direttamente intrecciato con il problema dell'uomo. La crisi di Dio, infatti, ha condotto lentamente alla crisi dell'uomo. La postmodernità, con la crisi della metafisica e l'avvento del pensiero debole, ha messo in crisi i classici assoluti metafisici: «Dio, uomo, mondo». La prima conseguenza dell'indebolimento del concetto di Dio è l'indebolimento del concetto dell'uomo. All'idea forte della natura umana, considerata immutabile perché creata da Dio, si è sostituita, perciò, l'idea debole di una natura umana, considerata manipolabile, perché prodotta dalla bio-tecnologia. La conseguenza terribile di questa trasformazione è che tutto ciò che è «fatto» può essere anche «disfatto». L'uomo post-moderno non vuole accettare i limiti della natura umana e tenta di creare nuovi modelli di esistenza, determinati non dalla «sacralità» della vita ma dalla «qualità» della medesima. L'avvento delle correnti del postumanesimo e del transumanesimo nel mondo della bioetica e dell'ingegneria genetica rende più difficile la ricerca delle tracce di Dio nella vita, perché la traccia divina più eloquente è l'uomo stesso, sia perché egli è stato creato a immagine di Dio, sia, soprattutto, perché Dio stesso è diventato uomo. Se l'uomo non è procreato ma donato, viene considerato una fotocopia dell'uomo e non un dono di Dio. Inoltre, se l'uomo è trasformato in similmacchina, si ammira la potenza della macchina ma si dimentica l'onnipotenza di Dio, il cui «nome è grande su tutta la terra» (Sai 8). La creazione divina del «settimo giorno» viene sostituita da quella umana dell'«ottavo giorno». Quest'uomo della postmodernità ha sete della trascendenza ma cerca inutilmente di estinguere tale sete con le cose immanenti di questa terra: beni materiali, gratificazioni culturali, successo professionale,legami affettivi. Si sono moltiplicati i pozzi della tecnologia e dell'ideologia, capaci di creare nuovi desideri ma incapaci di estinguere la sete di senso. Abbondano i mezzi. Ma scarseggiano i significati. Si dilatano i desideri, e questi, non gratificati, producono la rivalità mimetica che è all'origine della violenza e del conflitto sociale. La civiltà dei desideri ha preso il posto della società dei bisogni. Però la soddisfazione dei desideri materiali produce solo il «benessere » dell'uomo, mentre solo la soddisfazione dei bisogni spirituali arricchisce l'«essere» del medesimo. Per legare i desideri ai bisogni è urgente la coniugazione d'una giusta antropologia del limite con una sapiente pedagogia della creaturalità. II racconto evangelico dell'incontro di Gesù con la donna samaritana ci ricorda che solo chi beve l'acqua spirituale offerta da Gesù non avrà più sete. La samaritana ha estinto la sua sete non con l'acqua materiale del pozzo ma con l'incontro spirituale con Gesù, cioè con il dialogo sul senso dell'esistenza. Zaccheo ha cambiato la sua vita in seguito a un autoinvito a pranzo da parte di Gesù. E così, una richiesta d'acqua da bere e un autoinvito a pranzo hanno cambiato il destino di due vite perdute: una donna plurimaritata e un uomo capo degli esattori. L'incontro con Gesù, dunque, aiuta a trovare se stessi e il senso della propria esistenza, prima ancora che a gratificare un bisogno materiale o una curiosità intellettuale. La sete e il cibo sono un bisogno del corpo. La felicità è un bisogno dell'anima. Ma l'esistenza umana felice, realizzata, piena, non è quella priva di bisogni umani, bensì quella ricca di bisogni divini, aperta al desiderio infinito di Dio, mai circoscrivibile e mai eliminabile nella frantumazione della vita umana, nella quotidianità delle vicende storiche personali e sociali.
Ignazio Sanna