Inaugurato ieri il museo che fu l’abitazione della famiglia spagnola del ’500
Il palazzo Zapata illumina la storia di Barumini
Il tesoro della reggia nuragica riportata alla luce da Giovanni Lilliu BARUMINI. L’applauso più sentito è andato al Grande
Assente, al più illustre dei figli di Barumini, Giovanni Lilliu. Non
sta bene in salute ed è rimasto a Cagliari nella sua casa di via
Castiglione, nel quartiere di piazza Giovanni. Ha mandato un messaggio
(riportato in questa stessa pagina). A leggerlo è stata la figlia
Caterina. Più d’uno ha applaudito in piedi.
Molti i commossi.
«Il professore è un Grande», dicevano. In cielo uno spicchio di luna
turca. Il governo nazionale è stato rappresentato dal sottosegrario
alla Difesa Emidio Casula. Il museo è stato inaugurato - poco prima
delle 21.30 - dal presidente della Regione Renato Soru e dagli
assessori alla Cultura Elisabetta Pilia e al Turismo Luisanna Depau.
Dopo la benedizione del vescovo di Oristano mons. Ignazio Sanna, in un
grande giardino, hanno aperto i lavori il sindaco Emanuele Lilliu e
l’assessore provinciale Rossella Pinna che ha esaltato il «prezioso
gioiello» di casa Zapata «che arricchisce - ha detto Pinna- il nostro
patrimonio culturale archeologioco». Hanno parlato i rapresentanti
delle Soprintendenze Paolo Scarpellini, Vincenzo Santoni, Marinella
Ferrai Cocco Ortu, Gabriele Tola, Antonello Arru, Pietro Reali, Liliana
Fadda, il nipote dei marchesi Zapata Lorenzo di Las Plassas e Raffaella
Lantini della Space. Buona l’organizzazione curata dall’amministrazione
comunale. Ha concluso (commosso) Giorgio Murru, l’anima
cultural-archeologica di Barumini, re delle guide della reggia nuragica
scoperta da Giovanni Lilliu. «Questo palazzo - ha detto il sindaco
Lilliu - deve portare ulteriore sviluppo economico sociale».
Su quelle pietre è impressa la storia dell’isola quando i conquistatori erano i nostri padroni
Uno sguardo indietro verso la Spagna
Il nobile casato valenziano fu una calamita per gli appetiti dei mercanti
La Sardegna Autonoma di oggi e la Spagna dominatrice di ieri. La
Sardegna di 500 anni fa, regno sottomesso da chi tra il Gennargentu e
il Golfo degli Angeli non aveva alcunché da spartire e la Spagna di
oggi, guidata dal premier forse più moderno d’Europa. La storia isolana
imposta dagli invasori e la cronaca più o meno immutata di chi vuol
decidere il proprio futuro senza il visto di proconsoli. E poi, lontani
anni luce dal feudalesimo, clima da sabato culturale del villaggio, la
chiesa con una cupola che poggia su un tamburo ottagonale, torre
campanaria e campanile a vela, palazzi padronali e musei dell’arte
contadina al centro dell’antico granaio di Roma. Più in là, nascosta da
un bel muro di recinzione, la reggia nuragica, quella battezzata e
scavata, pietra su pietra, da Giovanni Lilliu, il Sardus Pater vivente
della cultura sarda.
Così Barumini ha indossato ieri l’abito delle grandi occasioni, i
Quattro Mori e il tricolore con il blu e le stelline della bandiera
europea, case con pietre a vista, giardini verdi, palme svettanti e
olivi secolari, strade ordinate. In questa cornice - col presidente
della Regione Renato Soru, turisti a gogo, tanta gente dai paesi
vicini, molti giovani, annullo filatelico, documenti storici sui
“baroni” e fotografie antiche - è avvenuta l’inaugurazione e la visita
a casa Zapata, esempio elegante di architettura civile rurale,
costruita sulle rovine di un nuraghe del tempo che fu per dare
residenza proprio ai potenti, gli Zapata. I più arditi nelle fantasie
dicono: “Erano del gremio dei calzolai i primi, perché non lo può
essere, oggi, José Luis Zapatero?”.
In una calda serata di fine
luglio, finalmente addolcita da piacevoli carezze di maestrale, fra
nastri, aspersori e stole vescovili, si respira un’aria carica di
mistero e di intrighi fra queste stanze. Pianta rettangolare, due
livelli collegati da una rampa esterna in muratura, un grande portale
in trachite, conci di arenarie e capitelli a canestro, quattro
finestroni incorniciati da colonne con decori tra il corinzio e il
barocco. Storia dell’arte e cronaca. Da oggi la casa feudale diventa un
nuovo monumento-museo della Sardegna, soprattutto di quella legata a
doppia mandata con la dominazione spagnola che da noi si è protratta
per quasi mezzo millennio (1323-1714). Il tutto nel rione “Santu
Perdu”, proprio di fronte alla chiesa parrocchiale dedicata prima alla
Beata Vergine Assunta e poi affidata all’Immacolata. Chiesa e nobiltà
vicine, sempre vicine, come la storia e la cronaca insegnano.
Quella degli Zapata è una delle tante pagine che hanno visto la
Sardegna eternamente eterodiretta dai grandi domini del Sud e del Nord
dell’Europa. Ma gli Zapata - una delle “famiglie più illustri e
titolate in Aragona e Valenza” - non sono i soli ad approdare e mettere
radici nelle coste sarde che certo non erano note per le dune di
Piscinas o i fiordi di Santa Teresa di Gallura. Con loro - siamo nel
1323, ai tempi della spedizione catalano-aragonese capitanata da
Alfonso il Magnanimo, quello adottato dalla regina di Napoli Giovanna
II d’Angiò - la Sardegna è una calamita potente per tutta la piccola ma
rampante nobiltà catalana.
I mercanti valenzani comprano i feudi,
sfuma il potere delle grandi famiglie catalano-spagnole. La Sardegna
non dava lingotti in oro, forniva però spazi, terre, “feudi”. Chi non
trova fortuna, chi non ottiene beni al sole tra i Pirenei e Gibilterra
monta in caravella, varca il Tirreno sperando almeno nelle “mercedes”,
le pensioni, i vitalizi che la Corona di Spagna garantiva ai sudditi
ossequiosi. È Giacomo II a dover realizzare il “Regnum Sardiniae et
Corsicae” e così - con un obiettivo tanto pomposo nel nome quanto
modesto nei suoi fini - arrivano gli Aymerich e i Castelvì, creano i
marchesati di Laconi e di Teulada, giungono gli Asquer e gli Arquer, i
Zatrillas e i Carroz, quelli che con una amazzone bella e
intraprendente, donna Violante, domineranno a lungo da Cagliari fino al
castello di Quirra tra Villaputzu e Tertenia.
Un passato non
esaltante per i sardi. È già stata combattuta “la battaglia di Sanluri”
del 1409, il giudicato d’Arborea viene annientato dai
catalano-aragonesi, naufragano le antiche aspirazioni all’autonomia
sarda. La Sardegna non è sarda, è spagnola.
Ci sono tante pagine
da leggere dietro e dentro le mura e le stanze di questo palazzo invaso
di gente e di autorità. Piacciono i soffitti, gli arredi, i pavimenti,
le stalle. Ma è bene affidarsi agli storici di professione, come
Giovanni Serreli che ha studiato in prodondità le vicende della
“Baronia di Las Plassas” che da Barunimi dista pochi chilometri.
Serreli ci dice che è Açor Zapata, un ex sindaco di Cagliari,
l’alcalde, ad acquistare questa zona nel 1529, a far costruire questo
palazzo. L’atto di investitura è firmato a Ratisbona il 6 maggio 1541
da Carlo V, l’ultimo vero imperatore europeo, quello che rientrando da
Tunisi si ferma anche a Cagliari, sale in Castello, va in cattedrale a
rendere omaggio al vescovo, poi arriva ad Alghero dove pronuncerà la
frase “todos caballeros”. Carlo V è il re sul cui regno non tramonta
mai il sole. Isole comprese.
La Sardegna, anche per il suo dna
spagnolo, non è isolata, entra comunque nel circuito europeo. In questo
stesso periodo approda tra i nuraghi il grande commediografo Miguel
Saavedra de Cervantes, l’autore del capolavoro “Don Chisciotte”.
Cambieranno poche cose anche dopo l’abdicazione di Carlo V a favore del
figlio: il padre era un viaggiatore instancabile, Filippo II era più
stanziale, se ne stava nelle sale dorate del suo regno dell’Escorial, è
lui a costruirlo. In Sardegna aveva chi lo serviva e riveriva.
Fedelmenente. Procuratori, avvocati, fiscales, ecclesiastici, feudatari
e via elencando.
Gli storici dell’Università di Cagliari - Bruno
Anatra, Giovanni Murgia, lo stesso Serreli - rivelano notizie
sconosciute ai comuni mortali. Fermandoci alla famiglia che oggi
Barumini fa conoscere a tutta l’Isola, sappiamo che “il capostipe era
Garcia Zapata, nel 1216 ricoprì la carica di alcalde della città di
Calahorra”, in Spagna. Ovviamente con tanto di araldica: lo stemma
della famiglia era formato da tre o cinque calzari (in spagnolo
zapatas) d’argento o d’oro su campo rosso, disposti rispettivamente a
triangolo o in croce di Sant’Andrea, ed era bordato di rosso con otto
scudetti d’argento o d’oro”. Un altro Zapata, Rodrigo, fu tra i
capitani della spedizione dell’Infante Alfonso. Una famiglia potente.
Scrive Serreli: “Gli Zapata si distinsero nella tormentata scena
militare e politica in Sardegna e negli altri stati della Corona
d’Aragona nei secoli XIV e XV”.
Ma chi era questo “signorotto”
del palazzo che da oggi diventa museo? Forse non era uno stinco di
santo, ma un personaggio con pochi scrupoli e che oggi potremmo
definire tra il faccendiere e il furbetto del quartierino nella Baronia
di Las Plassas, Barumini e Villanovafranca. Personaggio da gossip. Gli
storici raccontano di un Açor Zapata allegro nella gestione delle sue
finanze, spendeva molto più di quanto guadagnasse. Stando ad alcune
cronache sembra di vederlo come protagonista-arraffattore di una
appaltopoli in piena regola fra Cinquecento e Seicento. È Zapata, ad
esempio, nella seconda metà del Cinquecento, insieme al mercante
cagliaritano Antonio Ledda, a ottenere dal “real patrimonio” di poter
coltivare lo sfruttamento dei banchi di corallo di Villasimius,
“esistenti en los mares de Carbonara”, dice Murgia. Zapata poteva
sfruttare anche la tonnara. È Zapata a costruire una torre di difesa,
edifici per la custodia delle attrezzature, per la conservazione dei
prodotti. Faceva man bassa di appalti e subappaltava: alcuni lavori
della odierna Villasimius vengono «affittati alla famiglia genovese dei
Vivaldi».
Un monopolista che dava fastidio. C’è profonda tensione
tra gruppi contrapposti di famiglie. Ancora Murgia: «Eclatante è il
caso Arquer, esponente del ceto togato cagliaritano, giudice della
reale udienza, acerrimo nemico delle famiglie Aymerich, Castelvì, cui
erano legati gli Zapata». C’era la lotta fra “poli”, due autentici
blocchi di potere: «uno conservatore, costituito dalla feudalità e dal
clero, e l’altro, di nuova formazione, rappresentato dal ceto togato
urbano che controllava, attraverso la Reale Udienza, il governo del
Regno».
Si potrebbero leggere le pagine e gli ultimi romanzi dello
scrittore Giulio Angioni. È di questo periodo, siamo nel 1571, la
condanna al rogo a Toledo di Sigismondo Arquer. I Castelvì, gli
Aymerich e gli Zapata, con l’Inquisizione, colpiscono i loro avversari,
spesso puntando molto in alto senza rinunciare a notizie piccanti. Una
femminista del tempo, Domenica Figus, bella amante di Fruisco Casula,
“grande agrariu” di terra e di armenti, contesta gli Zapata, ne
denuncia i soprusi. Scatta l’indagine giudiziaria ad orologeria.
Domenica Figus finisce nei guai, è subito sospettata di “sortilegios,
maleficios y invocaciones de demonios”. L’inchiesta cresce a macchia
d’olio, pesca a piene mani negli ambienti popolari di Cagliari e del
Campidano. Lo scandalo esplode quando viene messa all’indice
addirittura la viceregina Maria Requesens, moglie del viceré Cardona
chiamato “Oloferne”. Tra i suoi accusatori spunta senza troppe riserve
Zapata da Barumini. Non accetta competitors. Come per Domenica Figus
viene aperta un’altra “indagine inquisitoiriale per stregoneria” contro
la viceregina. La burocrazia ecclesiastica e amministrativa è con i
forti. Tutti condannati. Il manovratore non va disturbato. Né oggi, né
ieri.
Dal Campidano alla Nurra. Con gli interessi della
fazione cagliaritana degli Aymerich si saldavano quelli di esponenti
della nobiltà sassarese, i Manca e i Cariga, il ricevitore Ravaneda
(non a caso patrocinato dall’Arquer) contendeva i possessi feudali in
Logudoro. Tra le fazioni in lotta ci sono gli Alagon (imparentati coi
Cardona) e i Cervellon, feudatari di più antica data. Poi, come in
tutti i regni, il sole tramonta anche sugli Zapata, dal capostipite
agli eredi. Verso il 1640 il feudo di Lasplassas, per le spese
incontrollate e per i debiti del suo signore (Francesco), è posto sotto
sequestro. L’erede di Azore II, sarà costretto a fare la fame. Pagine
che non sono state certo rievocate nella festa di Barumini. Sono le
pagine della tormentata storia sarda. Una storia - ha detto Giovanni
Lilliu- che dovrà essere “nuova”. (g.m.)
IL MESSAGGIO
«E’ un giorno memorabile»
"Il messaggio inviato dal professor Giovanni Lilliu.
«Oggi è un giorno di gloria, un giorno di memorie in questo sito pieno
di storia, dall’età dei nuraghi ai tempi moderni. Un sovrastarsi di
strutture che rivelano stili diversi di arte e di vita susseguitisi per
oltre tre millenni: con un palazzo di umore rinascimentale che sorge su
un nuraghe complesso del II millennio A.C. Il nuraghe, denominato
“Nnuraxi ‘e cresia”, ossia il nuraghe della chiesa, perché vicino alla
chiesa, cuore della comunità: dunque palazzo e chiesa, simboli di due
poteri che si confrontano e si compenetrano, tramandando le voci di
uomini e donne che, con la loro intelligenza e la loro fatica, le loro
gioie e i loro dolori, hanno costruito la storia di questo paese. Un
paese in cui io sono nato e vissuto, in cui ho lavorato a lungo,
assorbendone gli umori più vivi e fecondi, con l’intento di compensare
quanto mi ha dato. Barumini ha compiuto da allora ad oggi un lungo e
fruttuoso percorso, soprattutto per merito di intelligenti
amministratori e del suo popolo. L’inaugurazione di Casa Zapata ne è
una testimonianza. Scrivo queste righe da lontano: i problemi di salute
mi impediscono di partecipare a questa cerimonia che vede riuniti il
presidente Soru, autorità, studiosi e popolo. Tuttavia sono vicino col
cuore, felice che le porte di palazzo Zapata si siano riaperte, per
iniziarvi una nuova storia».