Il boiaro, capitolo V
Capitolo V
La fattoria di Ivan Vasil’evic Nikonov era un minuscolo e tranquillo regno che un uomo - conosciuto solo da poche centinaia di persone - possedeva in una remota regione dell’immenso impero russo; anche la vita che Anastasia conduceva in quell’alta società di provincia dell’altrettanto sconosciuta porzione del pianeta, sembrava al riparo dai grandi turbamenti cui la storia assiste quando si degna di prestare attenzione alle vicende degli uomini. Le ambizioni di Anastasia e la ristretta visuale che Ivan aveva del mondo, non consentivano a nessuno dei due di cogliere e valutare il cammino millenario delle vicende della memoria umana. Eppure la storia, con il suo interminabile andare avanti, tocca o sfiora tutti: chi più, chi meno è coinvolto dal suo passaggio.
La vicissitudini della fattoria di Ivan non erano altro, in fondo, che un riflesso della vita che si conduceva nelle terre di tutta la nazione, e che il trascorrere dei secoli non aveva fatto altro che spingere in una sonnolenza sempre più profonda. Forse Ivan non si era mai chiesto se fosse giusto o meno tenere sottomessi i suoi servi, che pure erano uomini e donne fatti di carne, con un cuore ed un’intelligenza, animati da sentimenti e da paure, che sapevano giudicare ed esprimere un’opinione. Erano uomini e donne come lui e sua sorella. Qualche volta si era chiesto come si sarebbe svolto il Giudizio universale e aveva provato ad immaginare l’aldilà: "Servi e padroni insieme davanti alla luce di Dio? Se i servi sono stati creati per questa terra - si diceva Ivan - è perché serviranno anche nella vita futura".
Intanto sotto la cenere della società dell’opulenza qualcosa ardeva: erano le speranze degli ultimi, di chi non aveva smesso di piangere da quando era venuto alla luce. La Rivoluzione iniziò a prendere forma, a fermentare e a crescere ad opera degli operai e dei contadini che marcivano nelle fabbriche e nelle campagne. Qualcuno notò i primi sintomi di un malessere millenario e si rese conto che così non si poteva andare avanti: presagì la catastrofe ed emigrò in paesi stranieri prima che la scure si abbattesse sul suo capo.
Anastasia ascoltando con attenzione Aleksandr Žukov, intuì questo qualcosa di nuovo che stava per accadere. Ma che cosa? Che il suo mondo stava per venire in urto contro un nuovo mondo che nessuno riusciva ancora a definire? Ed era possibile tutto ciò? Aveva tanti dubbi, ma si convinse che doveva correre ai ripari e chiamò a sé il fratello. Ivan si mostrò subito scettico:
"I nostri servi vogliono ribellarsi? E come? E se anche dovessero commettere la sciocchezza di farci del male, non sanno che il giudice del villaggio li punirà? E come porteranno avanti la fattoria e chi li sfamerà? Il grano non si produce solo quando la mano del contadino semina o miete o con la benedizione del buon Dio: c’è bisogno anche della frusta del padrone per produrre grano a buon mercato".
A convincere Ivan intervenne allora lo stesso Aleksandr Žukov:
"Procuratevi del denaro e lasciate un uomo di fiducia nella fattoria che sappia tutelare i vostri interessi. Quando poi lo zar rimetterà tutto a posto ritornerete in città o al villaggio. Ma ora è meglio partire: lasciate quanto prima la nostra regione".
Le parole del vecchio generale Aleksandr Žukov e qualche lacrima di Anastasia convinsero Ivan a vendere i frutti delle ricche messi di quella buona stagione: non fu per niente difficile combinare un buon affare con Boris Viktorovic Kaširin, che da quando era scoppiata la guerra con la Germania chiedeva sempre animali macellati e grano da spedire al fronte. Alla notizia che Ivan stava concludendo dei buoni affari con Boris Viktorovic Kaširin, il conte Aleksandr Žukov si rallegrò con Anastasia.
"Bravi - disse il vecchio generale - avete preso una saggia decisione per voi due e per la Patria. I nostri militari hanno bisogno di nutrirsi per combattere e i vostri contadini ci penseranno dieci, cento, mille volte prima di ribellarsi sapendo che andranno incontro ad una morte per fame".
Anche il boiaro Ivan Vasil’evic Nikonov contribuì così alla difesa della Nazione: le carni dei suoi maiali finirono sui tavoli delle mense degli ufficiali chiamati attorno ad una carta geografica per decidere le sorti delle battaglie e della guerra, mentre il suo grano divenne pane per i soldati immersi nel fango delle trincee accanto ai loro compagni morenti. Soldati che dovevano sparare aspettando il proprio turno per essere colpiti e seppelliti tutti insieme in una fossa comune così grande da farli precipitare nell’oblio.
Come uomo di fiducia a cui affidare la fattoria durante la sua assenza, Ivan non ci pensò due volte: scelse subito Andrej Svjatoslavov. Costui si era mostrato sempre fedele anche quando sua figlia, tra le lacrime, gli aveva detto che il padrone abusava di lei. Erano anni che il fattore stava al servizio della famiglia Nikonov; si intendeva anche di aritmetica e sapeva trattare i servi.
Man mano che il fuoco della Rivoluzione si avvicinava alle loro terre, Ivan e Anastasia si davano da fare per i preparativi della partenza. Anastasia aveva molta fretta: voleva raggiungere un posto sicuro. Dove sarebbero andati di preciso non lo sapevano ancora, ma di certo avrebbero preso la direzione opposta a quella di Michail Mejendorf, che dopo aver affidato sua figlia ad una coppia di amici, era partito per una zona dell’impero dove più forti erano le tensioni e gli scontri a fuoco tra bolscevichi e guardia nazionale. Nell’ultima lettera che Ivan aveva ricevuto, Mejendorf gli aveva scritto di essersi aggregato ad un gruppo di boiari e di aver già ottenuto qualche risultato positivo nel riportare l’ordine in alcuni villaggi. Prima di partire Mejendorf aveva insistito con ogni mezzo affinché Ivan si decidesse a seguirlo. Ma non c’era stato verso: Ivan lo giudicò un pazzo.
"Sono cose che deve fare l’esercito - gli diceva Ivan -, il nostro compito è quello di restare nelle nostre proprietà per mantenere qui la legge dei nostri padri".
Era questa la strada che lui voleva seguire finché fosse stato possibile: perché andare a morire per salvare la fattoria di un altro boiaro quando nella sua proprietà era sempre riverito dai contadini? Certo, si intravedeva un certo malumore dovuto alle notizie che circolavano, ma non bisognava scoraggiarsi. E poi lui poteva contare su Andrej Svjatoslavov, che si dava un gran da fare per allontanare dal padrone ogni grattacapo.
Boris Viktorovic Kaširin non tardò a venire con i suoi carri per l’ultimo viaggio. Pagò bene ciò che prese da Ivan e lasciò quel poco che bastava per far sopravvivere nell’inopia la piccola comunità per un inverno intero. Tra i servi non mancò chi si allarmò e chi tentò di far ragionare i compagni: tutto inutile. Caricarono in silenzio i carri e poi muti e a volto chino andarono a riposarsi all’ombra delle querce.
Quella stessa notte, però, tutti i servi furono svegliati nel sonno dal fattore che li convocò nell’ultima stalla, in modo che difficilmente il padrone potesse accorgersi della loro riunione.
"Vogliamo sopravvivere - ringhiava Andrej Svjatoslavov - o aspettare che l’inverno ci uccida tutti iniziando dai bambini? Il padrone si è venduto tutte le bestie e il grano per trascorrere una comoda vita fregandosene di noi e delle nostre famiglie. Dopo che la Rivoluzione sarà passata, dopo che il prossimo inverno sarà trascorso, lui tornerà e quanti di noi saranno sopravvissuti riceveranno il premio di servirlo ancora. Se dobbiamo morire, se hanno deciso di ucciderci, decidiamo almeno noi come morire!".
Al chiarore della luce di una lanterna guardava i volti impauriti dei servi che mai avevano pensato di poter tradire il loro padrone, anche se questi era la persona che più detestavano e che più li faceva soffrire a colpi di frusta e di privazioni di ogni sorta.
"Cosa possiamo fargli? - chiese Nikolaj, un contadino di mezza età -. Se restiamo uniti sarà uno scherzo catturarlo... ma poi? Che gli faremo?".
Era ciò che Andrej Svjatoslavov voleva sentirsi dire: senza scomporsi e guardando diritto negli occhi del suo interlocutore, prese con la mano destra la lanterna e gli si avvicinò dicendogli:
"Abbiamo asce e bastoni. Andiamo subito nella sua camera e prima che lui apra gli occhi si sentirà già le corde ai polsi ed al collo. Lo trascineremo giù per le scale e lo porteremo fin sotto alle querce per fargli fare la fine del maiale. Poi lo seppelliremo, e se domani ci chiederanno di lui, diremo che è partito. Ecco cosa faremo".
Nikolaj sentì sul volto il fiato caldo e ripugnante di Andrej Svjatoslavov e un grande vuoto dentro di sé: le forze gli stavano per venire meno e brividi freddi percorsero il suo corpo. Uccidere il padrone? Era la prima volta che Nikolaj provò l’impressione di svenire.
Tutti i contadini ascoltarono in silenzio le parole del fattore: molti provavano timore per una simile impresa, anche se le loro schiene non smettevano mai di accusare il dolore per i suoi calci e le sue frustate.
Andrej Svjatoslavov si girava intorno e sfidava con lo sguardo tutti i contadini, sicuro di sé e della possibilità di raggiungere i propri scopi. Ma quando fu per incitare i servi ad armarsi, intervenne Igor’ e con lui Aleksandr, il giovane servo che solitamente accompagnava il padrone in città. Igor’ aveva molto di cui lamentarsi di Ivan, ma non condivideva l’idea di ucciderlo.
"Non abbiamo ancora questo diritto. Certo - ammise Igor’ con la voce pacata - rischiamo di morire tutti di fame questo inverno, ma prima di passare alle maniere forti bisogna dargli la possibilità di ritornare sui suoi passi. Farlo ragionare. Non può abbandonarci così. Del resto, la sua morte non allontanerà l’inverno, né farà ritornare qui quello che ha preso Boris Viktorovic Kaširin".
Igor’ non terminò nemmeno di parlare che nacque un’animata discussione tra i presenti. Le voci erano discordanti e tendevano ad aumentare: solo quando qualcuno ricordava loro che il padrone poteva ascoltarli, si calmavano. In qualche momento di maggior confusione non mancò chi ne approfittò per andarsene a dormire sperando di aver fatto solo un brutto sogno. A fatica Igor’ convinse i servi a tentare una trattativa. Andrej Svjatoslavov non era per nulla d’accordo, ma dovette arrendersi quando si rese conto che i servi erano dalla parte di Igor’. Dopo alcune ore di strenue discussioni, i servi decisero di parlare apertamente con il padrone: gli avrebbero rinfacciato tutte le sue malefatte e avrebbero preteso una parte del denaro ricavato dalla vendita di quel giorno, sufficiente per sopravvivere all’inverno. Solo se il padrone avesse rifiutato di stipulare un patto, sarebbero ricorsi alla proposta del fattore.
Nelle prime ore della mattina del giorno seguente Andrej Svjatoslavov si recò subito dal padrone per riferirgli che stava per accadere qualcosa di brutto nella fattoria.
"Chi può darci dei fastidi?", chiese Ivan.
Il fattore ci pensò un attimo e poi, senza alcuna esitazione, rispose:
"Facciamo attenzione a Igor’. Mi aspetto di tutto da quel servo".
Il padrone sorrise e si lisciò i baffi: conosceva quel bifolco di Igor’ e sapeva come trattarlo. Pensò però che non fosse opportuno intervenire subito. Entro quella giornata doveva ancora portare a termine una faccenda delicata: seppellire una cassetta piena di documenti e oggetti preziosi in un luogo sicuro del giardino. Decise, quindi, di partire il mattino seguente, ma non prima di aver punito quanti potevano intralciare i compiti del fattore.
martedì, 23 apr 2013 Ore. 13.43
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