Carlo Silvano


articoli vari

Il boiaro, capitolo IV

Capitolo IV In genere una volta al mese Ivan, accompagnato da un giovane servo, si recava in città da sua sorella, che viveva in un lussuoso appartamento grazie alle rendite che aveva ereditato dai genitori. Anastasia aveva al suo servizio Nina, una cameriera che era anche la sua confidente, ed un’anziana donna addetta alle cucine. Anastasia amava la vita di città. Le principali sale del suo appartamento erano ammobiliate con pregevoli mobili fiorentini ed erano addobbate con tende di velluto rosso porpora. Alle pareti non mancavano pregevoli quadri di autore, e in qualche angolo faceva bella mostra di sé il mezzo busto in marmo di qualche illustre personaggio. Le quattro finestre principali dell’appartamento si affacciavano sulla più importante via cittadina, dove c’erano i palazzi del potere e i negozi più conosciuti. Nello stesso stabile dove lei abitava al terzo piano, dimoravano anche alcuni dei personaggi più in vista dell’aristocrazia. Durante i suoi brevi soggiorni in città, ad Ivan non piaceva proprio andare in giro per le strade, come faceva invece Anastasia, che aveva l’abitudine di visitare i suoi negozi preferiti quasi tutti i giorni. Arrivato a casa di sua sorella, Ivan era capace di restarsene chiuso anche per giorni tra quelle stanze dove si respirava un intenso profumo femminile. Di rado si affacciava dalle finestre: sotto di lui la strada brulicava di gente, e lui provava un senso di smarrimento alla vista di tante persone che passeggiavano, conversavano e facevano acquisti anche fino a tarda ora sotto la luce dei lampioni. Anastasia, invece, amava immergersi nella folla e scrutare con la coda dell’occhio quanti sfoggiavano vestiti eleganti e costosi gioielli: era il mondo che lei amava e che le dava un senso di sicurezza, di protezione. Ivan non sopportava sua sorella quando lei l’obbligava a seguirla in un negozio: si inventava tutte le scuse per restare in casa, anche se poi, una volta fuori dal negozio, era contento di avere un cappello o un vestito nuovo. Nell’appartamento di sua sorella, Ivan trascorreva ore ed ore sdraiato su un soffice divano a contemplare un quadro o a sfogliare un libro della modesta biblioteca di casa. Ogni volta che era ospite di sua sorella aveva l’impressione di entrare in un mondo mai visitato. Provava un timore reverenziale come se si trovasse in un luogo sacro. Eppure conosceva tutto di quella casa: gli intarsi dei mobili, le bomboniere di cristallo ordinate su un tavolino vicino alla finestra, la carta soffice e color crema con le iniziali di Anastasia deposta con cura nel secondo cassetto dello scrittoio, il quadro dai colori vivi che rappresentava la ritirata dalla Russia di Napoleone Buonaparte appeso ad una parete di fronte ad una grande specchiera con la cornice dorata e ricca di fronzoli. Sapeva proprio tutto di quella casa. Fin nei minimi particolari. Tuttavia lì non si era mai sentito a suo agio: spesso era un imbranato anche quando doveva compiere semplici gesti, come muoversi da una stanza all’altra, e camminare su tappeti persiani e mattonelle maiolicate; faceva sempre attenzione quando apriva o chiudeva una porta, e, se era tanto forte da badare ad un cavallo imbizzarrito, era poi impacciato e debole quando doveva servirsi di un cucchiaino d’argento per versare dello zucchero in una tazza bianca e azzurrina colma di tè: tenendo il cucchiaino avvertiva i calli del palmo della mano e si sentiva come un misero servo della gleba. Gli piacevano molto le pietanze preparate con cura dall’anziana donna e i sorrisi della giovane Nina. Poi, però, all’improvviso, sentiva la nostalgia per la sua fattoria e gli mancava moltissimo l’odore e l’aria della campagna: ordinava allora al servo di preparare il calesse e nel giro di qualche ora era già sulla strada del ritorno, senza nemmeno aver dato il tempo ad Anastasia di rendersi conto che lui era andato via. Sua sorella era una donna molto intelligente e consapevole delle sue qualità; sapeva soprattutto come sfruttare le proprie doti per ottenerne dei benefici. Non era molto bella anche se si dava un gran da fare con creme e cosmetici. Aveva i capelli molto lunghi e gli occhi castani, ma la sua vera dote era quella di saper comunicare ciò che i suoi interlocutori si aspettassero da lei. Sapeva cosa voleva dalla vita e riusciva ad ottenere ciò che desiderava. Era molto amica del vecchio conte Aleksandr Žukov che riceveva spesso nel suo salotto. In città Žukov non era solo un vecchio generale della cavalleria collocato nella riserva già da circa cinque anni: negli ambienti militari conservava ancora tutto il suo prestigio e le sue ricchezze potevano corrompere anche i più alti burocrati del paese. Dalla vita Anastasia voleva ottenere tutto: aveva molti progetti e spesso le capitava di dover attendere che si verificassero certe situazioni. Era sempre attenta e scrutava fin dentro le midolla le persone che arrivava a conoscere. Aveva la soluzione per ogni imprevisto e non si scoraggiava quasi mai: quando un suo progetto sfumava, con la fantasia e la voglia di affermarsi ne elaborava altri due. Qualche anno prima aveva desiderato diventare la favorita di Aleksandr Žukov: lo vedeva uscire ogni mattina dal palazzo di fronte al suo appartamento. Era sicura che sarebbe riuscita nei suoi intenti: guardava il palazzo del vecchio generale dalle feritoie delle cantine fino su agli abbaini, e a se stessa ripeteva che tutto quell’edificio di quattro piani e con un ampio cortile interno, sarebbe diventato suo. "Guarda questo palazzo - diceva a Nina che era intenta a sbrigare le faccende domestiche - e dimmi se un giorno non sarà mio! Lo avrò. Pensi che lì mi troverò bene? Manderò via tutti gli inquilini. Dovrà essere solo mio". Nina credeva nella sua padrona. La guardava quasi estasiata mentre di buon mattino le rifaceva il letto e lei, Anastasia, a piedi nudi ed in camicia da notte, continuava a parlarle ancora per un po’ indicandole il palazzo con lo sguardo, mentre le sue dita accarezzavano e giocherellavano con un bordo della tenda della finestra, ed i suoi occhi avidi si illuminavano alla vista del palazzo del vecchio generale. Ora Anastasia conosceva Aleksandr Žukov e Aleksandr Žukov era pronto a dannarsi l’anima per la giovane e intelligente Anastasia. Ma a lei non interessava più quel vecchio e fatiscente palazzo: era una miseria in confronto a ciò che poteva offrirle il granduca Pëtr Aleksandrovic Baženov, cognato di Aleksandr Žukov ed intimo amico dello zar di tutte le Russie. Con le ali della fantasia Anastasia volava su oceani infiniti: prima o poi avrebbe avuto l’occasione per essere presentata a Pëtr Aleksandrovic Baženov e conquistarlo; avrebbe così lasciato la sua città, una città di provincia, per una grande capitale. Convincere Pëtr Aleksandrovic Baženov a portarla a San Pietroburgo? Sarebbe stato facile, molto facile. Ed anche a San Pietroburgo, insieme a Pëtr Aleksandrovic Baženov, la sua stella le avrebbe portato fortuna facendole conoscere lo zar. Ad Anastasia bastava pronunciare solo il nome dello zar che sentiva il cuore batterle forte: si girava su se stessa e non vedeva più Nina e le stanze del suo appartamento, ma immensi saloni dorati e riverenti camerieri. Era in quel mondo che voleva entrare: lì il tempo si sarebbe fermato e lei avrebbe vissuto per l’eternità. Spesso parlava con Nina dei suoi sogni e insieme trascorrevano intere mattinate a conversare mentre sbrigavano le faccende di casa. Nina ascoltava con piacere la sua padrona e se Anastasia sognava, la sua serva non era da meno. Nel suo salotto Anastasia riuniva molti ingegni ed aristocratici della città: con loro si intratteneva in spassionate conversazioni mondane. Tra gli assidui frequentatori della sua casa c’erano anche giovani intellettuali e atavici professori di lettere. Qualcuno esponeva le teorie di Freud e qualcun altro quelle di Darwin, ma i più si cimentavano ad illustrare le tecniche di guerra più consolidate e le caratteristiche delle ultime armi da fuoco; altri sostenevano che la guerra con i giapponesi del 1904 era stata persa non per mancanza di valore, ma per colpa dell’arretratezza degli armamenti nazionali. Nell’appartamento di Anastasia soggiornavano spesso stranieri provenienti da tutta Europa: pittori francesi, economisti tedeschi, letterati italiani e giuristi britannici erano sempre bene accolti. Ivan partecipava solo di rado a questi incontri mondani e quando lo faceva era per non sentire i rimproveri della sorella. Per lui si trattava solo di ascoltare inconcludenti conversazioni dove tutti volevano aver ragione e dove tutti avevano torto perché alla fine dei conti non producevano mai nulla di concreto. Si annoiava terribilmente soprattutto quando a qualcuno veniva in mente di leggere poesie o di parlare di personaggi vissuti secoli prima. E poi si sentiva a disagio: sapeva che se veniva trattato con un certo riguardo era per rispetto a sua sorella, ma che diversamente avrebbero volentieri fatto a meno di dare la mano ad un boiaro, cioè ad uno che ha a che fare direttamente con i servi, con i contadini. Seduto in mezzo ad intellettuali, aristocratici, dame e giovani ufficiali che fumando sigari o papirosy riempivano di fumo la sala, Ivan, sebbene intontito dalla vodka e dai vini del Reno, rivolgeva il pensiero alla sua fattoria e non vedeva l’ora di ritornarvi: immaginava il giardino dietro la casa, le aiuole fiorite, le feste che facevano i cani quando andava a caccia e il piacere di respirare aria fresca anziché il fumo dei sigari che aleggiava in quella sala piena di gente che non faceva altro che oziare tutto il giorno. A volte appoggiava distrattamente lo sguardo su un particolare del quadro di Napoleone e riusciva ad estraniarsi a ciò che gli accadeva attorno, facendo volare il proprio spirito, libero da ogni peso, alla ricerca di una arcaica foresta impenetrabile agli altri uomini. Una foresta che custodisse un eremo costruito tra piante secolari e tranquilli ruscelli, dove tutto ciò che si sarebbe potuto ascoltare sarebbe stato il mormorio delle acque argentate dei torrenti, il fruscio del vento, quello che alita tra le cime degli alberi, e il canto di un uccello solitario. Nel profondo del suo animo, Ivan avvertiva il desiderio di entrare in un romitaggio per lasciarsi alle spalle gli affanni e il rumore del mondo. Lontano dagli uomini, al riparo di spoglie e spesse mura monastiche, avrebbe potuto contemplare l’infinito, incantarsi dinanzi ad un crocifisso, avvertire dentro di sé lo scorrere di placide acque che conducono verso la serenità e l’assoluto, e cercare nella profondità della propria anima le radici da cui viene la vita. Poi ritornava alla sua realtà, beveva un altro goccio di zubrovka, e si convinceva che in fondo era anche una persona molto pratica, attenta ai guadagni ed al risparmio: non è che Ivan amasse il denaro più di ogni altra cosa, ma era convinto che i soldi fossero molto importanti e che rendessero un uomo libero. I discorsi che si facevano non gli interessavano per niente: mentre tutti si davano un gran da fare per esporre le proprie idee, lui si abbandonava su una soffice poltrona pensando al suo mondo, ai lavori che bisognava fare nei campi, ai crediti da riscuotere e ai debiti da onorare. Di tanto in tanto allungava la mano verso un vassoio d’argento colmo di bliny per prenderne uno che accompagnava sorseggiando zubrovka. I bliny ricchi di panna e caviale erano i suoi dolci preferiti. "Peccato che i bliny si preparino solo in occasione dei giorni grassi", si diceva tra sé Ivan ogni qualvolta che riusciva a goderne. E poi c’era la zubrovka, la vodka amata da tutti gli ospiti di Anastasia. Solo l’arrivo del generale Aleksandr Žukov gli faceva ricordare che stava da sua sorella, in mezzo a un branco di giovinastri desiderosi di emergere e a vecchi uomini di potere che si tenevano ben stretti i privilegi ereditati e da trasmettere ai propri consanguinei. Il conte Aleksandr Žukov era l’ospite più gradito e presto avrebbe compiuto settantacinque anni: non era alto, aveva un viso grasso e rotondo e due baffi bianchi. I suoi occhi sprizzavano l’orgoglio di appartenere alla sua classe ed un profondo disprezzo per i servi. Indossava sempre l’uniforme militare e il suo motto era "Laetus in praesus animus, quod ultra est, oderite curare". Era incredibilmente lento e ciò era dovuto anche al suo peso: salire le scale che conducevano all’appartamento di Anastasia rappresentava per lui una grossa fatica e certamente non ce l’avrebbe fatta senza l’aiuto del suo giovane cocchiere. Arrivato però sul pianerottolo le sue fatiche venivano ricompensate da un caloroso e giovanile abbraccio da parte di Anastasia, che con i suoi ventisei anni faceva sentire giovane anche il vecchio generale. Ad Ivan non dispiaceva l’arrivo di Aleksandr Žukov, anche perché la semplice presenza del generale faceva calmare gli animi e la conversazione prendeva tutta un’altra piega: nella sala non c’era nessuno che non pendesse dalle labbra di Žukov e tutti erano sempre pronti a dargli ragione. Era allora che Ivan metteva da parte i propri pensieri e scrutando uno ad uno i presenti, si chiedeva come facesse Anastasia ad amare quel mondo, preferire quel salotto alla vita di campagna.
Categoria: Editoria
domenica, 21 apr 2013 Ore. 19.26
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