Carlo Silvano


articoli vari

Il boiaro, capitolo I

Capitolo I

Due secchi e malinconici rintocchi scoccati dalla
campana municipale gli fecero affrettare il passo mentre
percorreva le stradine buie e gelide di un quartiere
periferico: ancora una mezz'ora di cammino e sarebbe
rientrato nel suo rifugio, situato nel cuore della città
ancora sconvolta dalle armi. Ogni tanto qualche sparo.
Un grido e poi il silenzio assoluto. Sembrava di percepire
nell'aria l'odore acre e di morte della polvere pirica.
Da interminabili ore continuavano a cadere fiocchi di
neve da un cielo oscurato dalle nuvole: Ivan Vasil’evic
Nikonov camminava a fatica e intorno a lui c'era un
candido manto bianco che ricopriva le strade, i balconi e i
tetti dei palazzi nobiliari visitati dalla rivoluzione; le
tenebre di quella notte sarebbero state le indiscusse
zarine se ad esse non si fossero contrapposte delle deboli
luci giallognole, emanate da alcune lampade a gas che a
distanza l'una dall'altra di poco più di cinquanta passi
lungo il marciapiede destro, erano poste in cima a dei
lampioni in gran parte arrugginiti. Ivan posò per un
attimo lo sguardo su un lampione che dell'originaria
vernice verde ora conservava solo qualche indelebile
traccia.
Ovunque il gelo regnava e investiva con un mordente
e prepotente abbraccio ciò che si animava e ciò che era
definitivamente morto, mentre il vento portava con sé -
fino a farlo spegnere - il fruscio dei rami dei pochi alberi
che adornavano la strada: mesi addietro il freddo
autunnale aveva divorato le loro foglie. Senza ombra e
con le cortecce tagliate dal gelo attendevano il primo sole
primaverile. Un sole che tardava a venire. Un sole che
uomini e donne attendevano.
Non era per nulla piacevole circolare per quelle
stradine, ma Ivan si sentiva protetto. Non doveva temere
solo per la sua vita, ma anche per ciò che portava con sé;
avvolto nella sua pesante casacca di lana, quest'uomo era
impegnato a trascinarsi dietro una slitta carica di burro e
patate. C'era sempre il pericolo di incappare in qualche
ronda bolscevica nonostante il freddo pungente; ma si sa
che la prudenza non è mai troppa e che tutto può
accadere, soprattutto ciò che non è gradito. Per questo
Ivan si guardava spesso intorno, pronto a cogliere ogni
segnale che potesse indicare la spiacevole presenza di
uomini armati. Da qualche settimana le fucilazioni erano
diminuite, nonostante in tante cantine, soffitte e armadi a
muro ci fossero borghesi ed aristocratici.
"I muri della piazza - si disse tra sé Ivan - sono ormai sazi
del sangue sparso".
Invece non era così. Il Comitato rivoluzionario
cittadino aveva altri problemi da risolvere urgentemente
e contava di riprendere quanto prima la soppressione
dell'odiata e minoritaria razza di uomini che hanno
strizzato i loro simili sin da quando è stato creato il
mondo. Pur di vivere tra le agiatezze ed il lusso sfrenato i
potenti non hanno esitato a spremere il midollo dei
disgraziati contadini e minatori. Ivan tentava di illudersi.
Sperava che il male non lo avrebbe mai toccato. Non
poteva morire lui che era nato per vivere, né poteva
accadere qualcosa che gli avrebbe irrimediabilmente
portato via ogni speranza. Per un attimo fissò la fiammella
di un lampione: una piccola luce che lo rassicurava
nelle tenebre della notte.
"Non potrà capitarmi nulla di male", si disse tra sé
mentre compiva uno sforzo maggiore nel trascinare la
slitta.
Negli ultimi giorni si era allentata la caccia ai nobili
rimasti intrappolati in città, che ora pagavano anche per
quelli che erano riusciti a riparare all'estero e per quelli
che si erano rifugiati nelle zone tenute dall'armata bianca.
Il Comitato rivoluzionario era conscio del pericolo che i
soldati di Kolcak potessero rientrare in città con le loro
insegne, quelle insegne che per secoli avevano rappresentato
il dominio dei pochi sui molti.
"Kolcak riuscirà - disse con un filo di voce Ivan tra sé -
a restituirci la libertà e quanto è nostro. Le acque del Volga non
gli impediranno di arrivare fin qui e questi straccioni si
troveranno con il muso contro i muri della piazza a piangere e
a chiedere clemenza".
Intanto i capi dei bolscevichi erano corsi ai ripari e si
tenevano continuamente in contatto con la capitale, da
dove giungevano notizie ed incoraggiamenti. Il nuovo
governo voleva rappacificarsi con la Germania ed avere
così le mani libere per organizzare e dirigere una fedele
polizia popolare dotata di tutto ciò che le occorreva per
essere sempre efficiente a risolvere i problemi interni al
Paese. La guerra civile doveva terminare in Russia per
essere poi accesa di nazione in nazione fino a quando
tutti gli uomini fossero veramente liberi. Ma cos'è la
libertà? Un altro compito che i dirigenti bolscevichi
intendevano portare a termine quanto prima, riguardava
l'istruzione del popolo: l'ignoranza culturale andava
debellata con un sano indottrinamento e con le nuove
idee che la rivoluzione portava con sé. Prima di insegnare
a leggere e a scrivere bisognava liberare la mente dei
contadini e dei proletari da tutte quelle schiavitù proprie
del sistema imperialista.
Quanti discorsi pronunciati dai capi bolscevichi aveva
ascoltato Ivan coperto dalla sua casacca, confuso tra la
gente accorsa nelle piazze prima di ogni esecuzione
capitale! Ma a lui non interessavano quei propositi, ed
ora che si ritrovava a camminare tra i vicoli semibui non
poteva fare a meno di pensare alla sua prospera fattoria
che un pugno di ignoranti e superstiziosi contadini gli
aveva tolto: com'era possibile, si era chiesto più volte, che
lui potesse perdere la sua proprietà per colpa di alcuni
straccioni che da quando erano usciti dal grembo
materno avevano solo imparato a servirlo con timore e a
provvedere ad ogni suo bisogno? Quella fattoria non
l'aveva forse ereditata da suo padre, che a sua volta
l'aveva ereditata dai suoi antenati? Perché ora questo
mondo crollava portando rovine e lutti?
"Nella vita - si diceva Ivan - ognuno deve imparare ad
accettare il proprio ruolo: non importa se a volerlo povero è
stato Dio o la natura o gli uomini. Se ora ci sono solo guerre
per la conquista del potere, è perché i servi delle campagne e gli
operai delle città si rifiutano di fare quanto spetta loro. Ma
questa irresponsabilità la pagheranno cara e ne risponderanno
con la loro stessa vita. Appena le nostre baionette ripristineranno
l'ordine pubblico, la giustizia trionferà, e i servi riconosceranno
i nobili e i boiari come loro padroni su questa
terra creata per tutti e governata dai ricchi".
Il gelo continuava a mordere il viso di Ivan che
sentiva il dolore delle mani mentre tirava la slitta.
"Kolcak pulirà le nostre città e le campagne infestate dai
bolscevichi eliminandoli, come la Sacra Bibbia suggerisce di
distruggere la pula e la zizzania: bruciandoli!".
Anche lui, a restaurazione avvenuta, ritornerà nella
sua fattoria per riportarvi la sua volontà affinché vi sia la
pace ed i suoi interessi prosperino come è giusto che sia.
"Ci ritornerò con il giudice e con le guardie", si disse tra sé
Ivan mentre scansava una buca.
"Ci ritornerò con il giudice", ripeté ancora, sapendo bene
però che bisognava nominare un nuovo magistrato dopo
che quello di prima si era ritrovato a penzolare dall'alto
di un albero con una fune attorno al collo. Ivan sapeva
anche che mentre impiccavano il giudice, un contadino
gli aveva gridato che non poteva presiedere il tribunale
del villaggio quando proprio lui era il più delle volte
chiamato a fare da imputato.
"Avremo un nuovo giudice", pensò Ivan che non vedeva
l'ora di arrivare nel suo rifugio. "Ma ora basta pensare al
futuro - si disse tra sé - e guardiamo piuttosto al presente".
Bisognava proprio pensare al presente, che sia per lui che
per sua sorella Anastasia, ma anche per la loro cameriera
Nina, significava guadagnare denaro adeguandosi alla
nuova realtà. Una realtà non voluta da loro e nella quale
si erano ritrovati come catapultati. Tante volte Anastasia
gli diceva che avrebbe voluto ritornare nel suo mondo,
ma che ora dovevano adattarsi a questa realtà e trarne
anche dei benefici. C'era infatti il modo di fare soldi.
Molti soldi.
Sia gli aristocratici che quelli che i bolscevichi chiamavano
con disprezzo borghesi, nel trasferirsi precipitosamente
dai loro sontuosi palazzi o dai lussuosi appartamenti
nei rifugi trovati alla buona, si erano portati dietro
quelle ricchezze che erano riusciti a caricarsi sulle proprie
spalle. Barricati nei loro covi attendevano l'ora della
liberazione o della fuga, ed intanto però le loro fortune
venivano inghiottite da chi vendeva generi alimentari alla
borsa nera. Molti nobili furono scovati, arrestati e trascinati
per le strade, e se non subivano il linciaggio
venivano fatti passare per le armi; quanti non erano stati
ancora catturati dalla milizia rivoluzionaria, attendevano
la loro sorte chiusi in locali ristretti, tra ricchezze e paure,
imprecando contro lo sconosciuto che aveva permesso ai
bolscevichi di arrivare a conquistare il potere. Avevano
bisogno di procurarsi del cibo, ed erano pronti a sbarazzarsi
delle loro ricchezze pur di avere uno di quei
pezzi di pane nero che, al tempo delle loro glorie, non
avrebbero dato nemmeno a un cane.
In breve tempo nacque in città una fiorente borsa
nera, dove tutto ciò che era prezioso poteva facilmente
essere barattato con tutto ciò che era commestibile. Pochi
nobili avevano il coraggio di mettere il piede fuori dal
proprio nascondiglio, ma quando i morsi della fame
erano troppo violenti, provavano a confondersi con i
popolani, recandosi nei luoghi o nelle case di chi poteva
vendere. Non mancava chi per istrada veniva riconosciuto,
e sul selciato spesso lasciava il proprio sangue
misto a qualche gioiello o ad un tozzo di pane. Chi
poteva mandava in giro il proprio servo, mentre i più
facoltosi ricevevano nei loro rifugi i mercanti della borsa nera.
In poco tempo Anastasia si organizzò per praticare
questo commercio mandando Ivan nelle estese campagne
che circondavano la città, a procurarsi dai contadini
generi alimentari come patate e burro, mentre lei e Nina
provvedevano a smerciarli. Ivan si era abituato ben
presto a questo lavoro anche se non gli andava di correre
dei pericoli: vestito come un mandriano si accorse di
essere una persona prudente e di saper trattare anche con
i contadini più avidi del circondario. All'inizio Anastasia
ed Ivan dovettero superare mille ostacoli, ma poi iniziò a
filare tutto per il verso migliore. Grazie ad alcune
amicizie che Anastasia era riuscita a coltivarsi nel suo
salotto prima della rivoluzione, poteva ora contare
sull'aiuto di alcuni giovani intellettuali che militavano
nella milizia bolscevica, e che le permettevano di
praticare i suoi lucrosi affari.
"Fino a qualche anno fa non avrei scommesso una rapa sul
loro futuro", amava dire spesso Anastasia quando si
riferiva a quei giovanotti che ora, armati fino ai denti, si
erano appropriati di gradi militari convinti che fosse
giunto il loro momento d'oro. L'appoggio e la copertura
che essi garantivano ad Anastasia aveva un prezzo, ed a
farne le spese erano sempre gli acquirenti.
Alcuni membri del Comitato rivoluzionario conoscevano
molto bene il rifugio di diversi aristocratici, ma 
non intervenivano. Ai nuovi governanti conveniva
proteggere dei nobili della città perché se un giorno,
come essi temevano, la rivoluzione fosse fallita, avrebbe
poi fatto comodo l'appoggio di quanti ora erano
perseguitati e clandestini. Inoltre, far catturare dei poveri
disgraziati significava non poterne più succhiare le
ricchezze che, altrimenti, sarebbero andate perse nelle
casse del popolo.
All'inizio Ivan si mostrò insofferente e timoroso per
questi stretti rapporti con i bolscevichi, ma ben presto le
parole ed i fatti compiuti da Anastasia lo convinsero. Lei,
in fondo, non faceva altro che ripetergli:
"Ciò che diamo con la mano sinistra lo prendiamo con la
destra e durante questo passaggio qualcosa deve pur cadere sul
nostro grembo".
Un qualcosa di sostanzioso, che confortava Ivan
quando nelle prime ore del mattino [continua...].

Tratto dal romanzo "Il boiaro", di C. Silvano, Edizioni del noce 2012, pp. 122.

Categoria: Editoria
giovedì, 18 apr 2013 Ore. 10.35
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