dalle mie carte "dimenticate" è uscita fuori questa recensione che ho scritto anni fa e che un amico - Paolo Perrotta - nel 1999 pubblicò su un quotidiano partenopeo.
Lasciare tutto e partire per l’Africa. E’ lo struggente desiderio che si prova leggendo le pagine del libro “Mi manca topolino!”, di Davide Franzi e Carlo Giorgi, con una introduzione di Piero Gheddo (editrice Berti 1998, pp. 160). Scoprire il continente nero attraverso gli occhi ed il cuore di un giovane volontario, rappresenta un’avventura che tanti – stanchi della monotonia quotidiana – vorrebbero compiere per ricercare quell’umanità e quella gioia di vivere che gli africani, a dispetto degli occidentali, ancora possiedono, ben impresse nel loro Dna. Nel libro si narrano le peripezie di un giovane sempre pronto a lasciare le certezze e il benessere che gli offre il suo mondo – il cuore industriale dell’Italia – per andare in Uganda, Sud Sudan e Rwanda per soccorrere migliaia di vite umane strette nelle tribolazioni di guerre e carestie. Mali, questi, che non dipendono solo da fattori tipici dell’Africa, ma anche e soprattutto dall’ingordigia del mondo occidentale sempre pronto a depredare e a succhiare le ricchezze naturali dei Paesi del cosiddetto Terzo mondo.
E’ un libro-denuncia quello di Franzi e Giorgi. Un libro dove si sottolineano le responsabilità delle potenze occidentali in tema di eccidi, colpi di Stato, commercio di armi, islamizzazione imposta, carestie e sfruttamento di giacimenti di petrolio e uranio. E cosa dire della guerra invisibile che ha insanguinato il Sudan? Riguardo ai massacri, che tutt’ora avvengono in quel Paese, Franzi ci offre la possibilità di coglierne tutta la drammaticità quando scrive: “Le famiglie sopprimevano i propri bambini quando erano più di due perché nella fuga un genitore poteva portare con sé solo un figlio; era quindi meglio uccidere gli altri piuttosto che farli catturare. Molti giovani venivano condotti come schiavi in Arabia; per non farli fuggire gli scorticavano la pianta dei piedi. Uomini, donne, bambini subivano mutilazioni fisiche se presi in fallo sulla legge islamica” (p. 77).
Il libro è anche ricco di umanità. La bravura del giornalista Giorgi si rivela soprattutto nel condensare in poche righe la bontà d’animo e il coraggio di tanti volontari, suore, missionari e africani che con dedizione si impegnano quotidianamente per salvare vite umane, oppure nel descrivere la gioia, semplice e immensa, che un intero villaggio prova quando, scavando un pozzo, dalla terra fuoriesce acqua.
Non è semplice, però, fare il volontario negli angoli più poveri della Terra. Ecco, ad esempio, cosa scrive Piero Gheddo: “Dopo un mese di viaggio e difatiche, i volontari italiani della spedizione, tornati a Kampala, si pesano e si accorgono che sono diminuiti dai 5 ai 10 chili a testa! Non per il poco cibo ma per la tensione, le faticacce, le sparatorie, le strade impossibili, i pericoli corsi. Un’esperienza sul filo dell’impossibile” (p. III).La lettura del libro è scorrevole e prende il lettore dalla prima all’ultima anche perché i fatti narrati sono realmente accaduti. [Carlo Silvano, febbraio 1999]