Falzè di Trevignano, incontro sul carcere
Ieri sera, a Falzè di Trevignano, nel corso di un incontro pubblico, ho avuto modo insieme a don Pietro Zardo di descrivere la realtà della detenzione a Treviso. Ci sono stati alcuni punti che mi fanno riflettere. 1. La storia di una bambina di quinta elementare che a scuola viene emarginata dalle compagne perché figlia di un detenuto. Mi chiedo: come crescerà questa bambina? Che adulta sarà? E il papà che ora è in carcere e che dai colloqui che ha con la figlia percepisce il suo malessere, quali sentimenti coverà dentro di sé? 2. La pedofilia rientra tra i reati più odiosi e non si può mai giustificare. E' facile scagliare contro un pedofilo la prima e anche la seconda pietra. Intanto, però, ci si chiede com'è stata l'infanzia di un adulto che ora è pedofilo? Insomma, quanti pedofili hanno, da bambini, subito violenze? E come le hanno elaborate? Quando, da bambini, hanno provato a parlarne con qualche adulto, hanno ricevuto ascolto e sostegno oppure sono stati, paradossalmente, additati come responsabili delle violenze subite? 3. In questi ultimi tempi nel carcere di Treviso sono reclusi, mediamente, trecento detenuti. Una cinquantina di essi hanno la possibilità di lavorare in 4 diversi laboratori e nei servizi del carcere (cucina, pulizie, ecc.); altri cento detenuti riescono a seguire dei corsi scolastici e impiegano, così, parte della propria giornata. Ci sono, però, circa centocinquanta reclusi che trascorrono quattro ore all'aria aperta (due ore la mattina e due nel pomeriggio) e ben venti ore chiusi in cella. Mi chiedo: venti ore trascorse ogni giorno ad oziare è il prezzo imposto dalla nostra giustizia per i rei?
mercoledì, 24 apr 2013 Ore. 11.58
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