Sandro Bizioli


Chi sogna di giorno conosce molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte. (E.A.Poe)
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The Eagles - la magia.

Peccato, un vero peccato... sì, ma per chi si è perso questa favolosa tappa Italiana del tour mondiale "Farewell I".
Un concerto davvero indimenticabile in continuo crescendo, dove la classe e la buona musica sono riuscite a scongelare un pubblico da museo delle cere.
Ma facciamo un passo alla volta.
Lunedì 29 maggio 2006, ore 19.45, Arena di Verona.
Il tempo non è dei più promettenti e le prime gocce iniziano a cadere sugli spettatori che stanno prendendo posto in uno dei più bei monumenti dell'antichità.
Alle 20.45, con una puntualità impressionante, Don Henley, Glenn Frey, Timoty B.Smith e Joe Walsh, fanno il loro ingresso sul palco dell'Arena. Un'entrata semplice, calma, affatto plateale.
D'altro canto l'atmosfera che regna non è delle più accoglienti: molti, moltissimi posti vuoti ed un pubblico decisamente freddo accoglie in modo ingiusto, una delle band che hanno fatto la storia della musica mondiale.
Sembra quasi che un muro enorme sia stato eretto tra pubblico ed artisti. La gente assiste in composta calma, soffermandosi, forse, sui tangibili segni che il passare del tempo ha lasciato sui loro beniamini, dimenticando, a mio avviso, che anche dal palco l'effetto è il medesimo.
Nonostante qualche giovane, l'età media degli spettatori è decisamente alta; non si parla certo di ragazzi, ma signori e con la "esse" maiusola. Signori che, tra l'altro, si presentano con abiti fin troppo ricercati: tailleur, giacche e cravatte riempiono le sedie in velluto della platea, ma anche sulle gradinate il tenore non è differente.
Senza fare una piega, senza neppure un saluto (penso che comunque nessuno avrebbe risposto) lo spettacolo ha inizio.
La band comincia a suonare e noi, torniamo ad essere mortali e a sognare...
Il tempo inizia a scorrere rapidamente a ritroso, portandoci con la memoria indietro di molti molti anni, facendo riaffiorare in ognuno di noi, sensazioni che pensavamo ormai assopite da tempo.
Quelle note magiche si diffondono nell'aria fresca e sembrano attirare a sé, come il pifferaio di Hamelin, uno stuolo di persone, tanto che, nel giro di un paio di brani, l'Arena è finalmente piena!
Anche la pioggia sembra essersi fermata ad ascoltare e da ora, una leggera brezza, ci accompagnerà fino alla fine del concerto.
La prima parte della grande magia degli Eagles si è compiuta. Ora rimane il compito più arduo: scongelare quel popolo di mummie ben impacchettate e dar vita ad un concerto indimenticabile.
Il ritmo è in crescendo; non so se sia stata una casualità od una scelta studiata per l'occasione, ma lentamente la macchina pubblico inizia a muoversi.
Un'ora di vecchi successi, magistralmente eseguiti, portano Don Henley al primo breve monologo e la band si ritira per una piccola pausa.
Nel frattempo, sugli schermi laterali al palco, si susseguono una carrellata di immagini del passato, dai primi anni '70 fino a fine anni '80, quasi a voler trasmettere questo semplice, ma inconfutabile messaggio: "sì, il tempo è passato, non ci sono più i capelli lunghi e la forza di saltare e correre sul palco, ma se per noi (e per voi) la metamorfosi è decisamente visibile, la nostra musica, la vostra musica, ha attraversato il tempo, migliorandosi in continuazione, ed ha oggi, più di allora, il potere e la forza di trasportarvi!"
Le luci calano sull'arena ed il palco è nuovamente sotto l'occhio dei riflettori.
Lo show continua, ma da questo momento in poi è tutta un'altra musica: il ritmo aumenta notevolmente, gli Eagles si lasciano andare e, finalmente, il pubblico torna a fare il pubblico. Le voci degli spettatori si fondono a quelle della band e la mani ritmano i brani; il disgelo è riuscito!.
Poche parole, tanta musica e Joe Walsh inizia il suo personale show, cercando di coinvolgere l'intera Arena, "correndo" ai due estremi del palco verso un pubblico che finalmente fa sentire il proprio calore.
A questo punto mi devo fermare nella narrazione anche perchè non vi sono parole per descrivere il resto del concerto.
In totale due ore e mezza di grande musica, affiatamento ed un'intesa perfetta che solo una grande band come questa poteva avere.
In chiusura, Don Henley, si è portato al centro della scena avvolto dalle note di Desperado. E' stato allora che, per un attimo, ho distolto lo sguardo dal palco e mi sono accorto che il miracolo dell'Arena era giunto a compimento: gente ovunque, sulle scale, nei passaggi tra le poltrone, ai lati del palco, ovunque vi fosse uno spazio libero, tutti in piedi a braccia alzate a cantare liberamente spogliati, una volta per tutte, della maschera di uomini seri
che per anni avevano indossato.
Un pubblico vero, un calore reale, un giusto saluto per quegli uomini che per anni hanno cullato i nostri sogni più intimi.
Alla fine con un pizzico di commozione e tanta tanta emozione, ho seguito il saluto della band e la loro scomparsa dietro le quinte.
Un'esperienza veramente unica vissuta assieme a persone tanto diverse da me, ma in fondo, tanto simili.
Tra le tante una speciale, mia moglie, seduta accanto a me, lì come nella vita, mano nella mano, che mi ha accompagnato in questa sera speciale rendendola veramente unica, proprio come ha fatto per anni nei momenti più belli della mia esistenza, anni scanditi, tra le altre cose, dalle magiche note degli Eagles.
Categoria: Varie
martedì, 30 mag 2006 Ore. 11.25
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