circolo di lettura "Enzo Baldoni"


tutto ciò che è scritto è vero ed esiste

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(H)idalgo – Era il figlio del primario del reparto più importante dell’ospedale più rinomato della capitale dello stato. Era, dunque, figlio di qualcuno. Anzi, diceva sempre suo padre, di Qualcuno. Con la maiuscola. Lui si chiamava Michele e da piccolo pensava, senza dirlo, che Qualcuno con la maiuscola spettava soltanto a Dio. Da grande, gli fu chiaro che suo padre si sentiva un dio. Non il Dio dei cristiani, con la legittima maiuscola, ma Un dio, uno di quegli dei che la professoressa del liceo gli faceva studiare insieme all’alfabeto greco: uno di quegli dei potenti, e insieme rissosi, egoisti, vendicativi, superbi e pieni di sé. Accettò i fulmini che il suo dio personale gli lanciava se non corrispondeva alle attese; rimandato a settembre in scienze, fu scaraventato dall’Olimpo per tutta l’estate, e gli toccò sudare nella città afosa e indifferente; scoperto a fumare la prima sigaretta, sottratta nello studio del padre, subì, quasi, la stessa sorte di Prometeo che rubò il fuoco agli dei; bocciato a settembre, decise che non avrebbe atteso passivo il destino che il dio Qualcuno gli aveva riservato. Andò al centro del paese, il 16 settembre, suonò le campane della chiesa e diede inizio alla rivoluzione.

 

(i)nvisibilità – Quando di preciso fosse cominciato, non avrebbe saputo dirlo. Forse subito, la mattina presto. Era uscito dal portone e aveva salutato il giornalaio. Nessuna risposta. Troppo impegnato, il giornalaio, a sistemare i pacchi di riviste, rivistine, allegati, omaggi, libri, volumi, atlanti, videocassette in sconto, DVD, e qualche quotidiano. Così aveva pensato. Dopo il semaforo, aveva visto avvicinarsi una faccia conosciuta, anche se non ricordava né dove né quando. Solo a due passi di distanza aveva avuto il lampo di riconoscimento: era l’addetta alla mensa ma, come spesso succede quando spogli qualcuno dei panni con cui sei abituato a vederlo, e lo rivesti di normalità, jeans, piumino alla moda, scarpe col tacco e uno di quei berrettini di lana al posto della regolamentare cuffietta, ecco, non l’aveva riconosciuta subito. Si era ripreso appena in tempo e l’aveva salutata. Niente. E sì che lui, invece, era vestito come al solito, col solito completo scuro che usava durante la settimana, e con il quale si presentava alla solita mensa aziendale. Ma solo quando Gianni, attraversando di corsa la strada, si ‘dimenticò’ di rispondere al suo: “Ohè, ciao!”; e quando, immediatamente dopo, il sorriso che fece alla signora Teresa gli si congelò inutilizzato sul volto, mentre quella lo incrociava seria e non lo degnava di uno sguardo; solo allora capì che, probabilmente, era diventato invisibile. Smise di salutare, ritenendolo inutile; smise di guardarsi in giro, di chiedere scusa se pestava un piede, non andò a lavorare, o a fare la spesa, perché chi avrebbe mai dato tre panini integrali all’uomo invisibile?

Al giornalaio, che il giorno dopo, meno distratto del giorno prima, gli allungava il suo solito Corriere, non rispose; all’addetta della mensa, che il giorno dopo si era ricordata le lenti a contatto e lo stava salutando, girò la faccia dall’altra parte; guardò oltre la signora Teresa che, ormai tranquillizzata sulla qualità benigna di certe extrasistole che il suo medico le aveva trovato, stava per fermarlo e raccontargli la faccenda. Tutti pensarono che era diventato superbo, e poi maleducato, e poi esaurito (o depresso, dipendeva dai discorsi); infine, lo considerarono matto. E lo ignorarono. Morì di fame, convinto di essere diventato invisibile.

Categoria: chiacchiere
martedì, 28 nov 2006 Ore. 19.10
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