Quest'anno, secondo il Centro Europa Ricerche, ci saranno 200 miliardi
di impieghi in meno. E, nella stima di Prometeia, 25mila imprese falliranno
finendo tecnicamente in default e bruciando 625mila posti di lavoro.
Una prospettiva drammatica, che è il risultato di una tensione crescente nel
rapporto fra banca e impresa, sintetizzata dal peggioramento riscontrato negli
ultimi due anni dall'Istat che ha fissato nel 12% la quota di imprese che non ha
ottenuto credito dalle banche, mentre il 33% ha visto diventare più onerose le
condizioni.
«Io non so nemmeno con quanti zeri si scrive 500 miliardi di euro - dice un
imprenditore - so solo
che, a me, non è arrivato un centesimo dei finanziamenti della Bce agli istituti
italiani. Prima la banca mi ha dato l'ok per l'acquisto di un nuovo macchinario
da due milioni di euro, poi mi ha triplicato lo spread. Alla fine ho dovuto
ricapitalizzare l'azienda».
Poco importa se sono 116 e non 500 i miliardi che Francoforte ha prestato, al
tasso dell'1%, ai nostri istituti di credito. «Il credit crunch - osserva Sergio
De Nardis, capoeconomista di Nomisma - produce un avvitamento finanziario che
danneggia la fisiologia interna delle Pmi, minandone la residua base
patrimoniale».
Allo sportello, però, non si è ancora visto nulla. «È plausibile - spiega il
capoeconomista del Cer, Stefano Fantacone - uno scenario da vero credit crunch,
con un doppio shock sia sulla quantità di credito erogata sia sui tassi
praticati». Nella simulazione del Cer, che è basata su una ipotesi di flessione
complessiva nel 2012 del 5% e di una ulteriore riduzione di un punto e mezzo nel
2013, l'andamento degli impieghi esprime una dinamica violenta: ad aprile andrà
per la prima volta sotto zero, a luglio precipiterà a -5%, a ottobre a -9% fino
a sprofondare, a dicembre, a -11 per cento.
Al di là delle ragioni di fondo di questi avvitamenti, tutti si stanno
accorgendo del rapido peggioramento del clima. L'"ultraprudenza" trasformata in
condizione strutturale e permanente appare un elemento sistemico. «Ormai -
racconta Massimo Pelizza, direttore finanziario della Socotec - la parola
d'ordine è: nessun rischio. Non ho avuto problemi con la banca, ma con il
consorzio di garanzia fidi». Il caso della sua azienda di famiglia, che si trova
a Lentate sul Seveso ed è specializzata in impianti elettrici e meccanici per
ospedali pubblici, rappresenta bene il contagio. Una sfiducia trasversale che
orienta i comportamenti di tutti: i funzionari di banca, ma anche gli impiegati
dei confidi. «Il 3 agosto abbiamo trasformato la nostra srl in spa - dice
l'imprenditore - facendo un aumento di capitale da 1,2 milioni di euro. Soldi di
famiglia, buoni per sostenere una crescita che, dai 4,4 milioni di euro di
fatturato del 2008, arriverà quest'anno a 23,5 milioni. In estate succede il
finimondo. Io sono tranquillo. Abbiamo appena messo quasi due miliardi e mezzo
delle vecchie lire nella società. Vado a chiedere un affidamento da 400mila
euro. La banca dice di sì, il confidi dice di no, la banca fa un passo
indietro».
Dunque, per ragioni di sistema, escono sempre meno gocce da tutti i rubinetti
del credito. C'è poca acqua (la liquidità bancaria). Ma anche il cavallo (il
sistema industriale) non beve, in un intorpidimento anoressizzante che ha nel
razionamento del credito uno degli elementi principali, anche se non l'unico.
«Secondo le nostre stime - dice Alessandra Lanza, capoeconomista di Prometeia -
quest'anno 25mila società di capitale, non finanziarie, finiranno in default. È
chiaro che questi fallimenti saranno dovuti al combinato disposto del
razionamento del credito e di una crisi generale dei mercati che mette sotto
pressione tutto il nostro manifatturiero».
Ogni società di capitale italiana ha 25 addetti (media calcolata dal Ceris
Cnr): dunque, a causa della crisi finanziaria originata dalla recessione sui
mercati e dal credit crunch, si può stimare che quest'anno si ritroveranno senza
lavoro 625mila italiani. Un fenomeno profondo, dunque. Qualcosa in grado di
mutare il paesaggio industriale e di condizionare gli equilibri sociali del
nostro Paese. Per il Cer un razionamento del credito di questa portata avrà
effetti sui consumi (mezzo punto in meno quest'anno e un punto in meno l'anno
prossimo) e sul Pil (circa un punto in meno all'anno, per due anni). Le
importazioni caleranno del 4,9% e le esportazioni resteranno inchiodate a un
irrilevante +0,1 per cento. E gli investimenti lordi delle aziende scenderanno
dell'11,3 per cento. «Così - osserva Giampaolo Vitali, segretario del Gruppo
economisti di impresa - il processo di selezione virtuosa innescatosi con
l'ingresso nell'euro nel sistema industriale italiano rischia di
arrestarsi».
Articolo del IlSole24Ore apparso oggi 14/02/2012