circolo di lettura "Enzo Baldoni"


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"Trilogia della città di K" di A. Kristof

Due fratellini gemelli, strettamente uniti, Claus e Lucas, consegnati durante la guerra a una nonna perversa che li tormenta, elaborano con un metodo spietato e con crescente crudezza esercizi di autoflagellazione fisica e morale per esercitare la propria resistenza al male e consegnarsi con voluttà all’indifferenza che diviene, forse loro malgrado, il loro modello di vita. In un Paese occupato dalle armate straniere, i due gemelli scelgono due destini diversi: Lucas resta in patria, Klaus (o Cl 
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Categoria: incontri circolo
giovedì, 12 ott 2006 Ore. 14.46

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Autore: AnnalisaInviato il: 30 ott 2006 - 10.18
La presentazione del libro (proposto da Antonella) ha sottolineato lo sconvolgimento provocato dalla narrazione della Kristof; le parole, dunque, sono una morsa che stringe fino a far male, e molto anche, perché la storia si presenta dura, fredda, inizialmente un breviario di sopravvivenza, che rivela poi il dramma scatenato dall’abbandono. È curioso come siano stati usati termini ricorrenti anche in altre critiche o osservazioni, come la sensazione di un pugno allo stomaco, o di una coltellata. La scrittura asciutta e minima, gli incastri iperbolici e (secondo alcuni) la verità delle emozioni raccontate hanno colpito dritto all’animo.
Come tema centrale è stato individuato il dolore, e la volontà di reagire a esso, o di sopportarlo, grazie innanzitutto a una educazione auto-inflittasi dai due bambini protagonisti (educazione alla sopportazione, al dolore, all’annichilimento delle sensazioni); in secondo luogo, alla capacità di delineare un confine entro il quale muoversi non per pietà ma secondo ‘giustizia’; insomma, in definitiva, i due gemelli iniziano a escogitare angoscianti strategie per sopportare il dolore, la fatica e l'assenza d'amore. Imparano tutto da soli: a scrivere, leggere, a rubare e a dominare le paure.

Di contro a questa interpretazione, è stata sottolineata (con qualche accesa contestazione) l’inverosimiglianza di alcune situazioni, talmente estreme e concentrate sui due bambini da dare, alla fine, l’impressione di un’esagerazione, di un eccesso. Voluto, certo, questo eccesso, e questa insistenza, ma tale da creare un’impressione di estraneità, di non-verità. È dunque pensabile che, anche in una situazione di guerra e di degrado, accadano certi fatti, si presentino certe situazioni? È stato risposto che, sì, è possibile (gli esempi, anche oggi, di bambini costretti in situazioni disumane sono numerosi). Una certa incredulità viene allora dal fatto che tutto accada a questi due bambini, tutto ciò che di orrendo e degradante e terribile può accadere, tutto a loro accade. Forse, dunque, diventano simbolo di un’infanzia persa, colpita ripetutamente, simbolo della guerra e dei suoi dintorni, dramma di un'esistenza filtrato attraverso gli occhi di un bambino, con tutta la cattiveria e la freddezza di cui i bambini sono capaci. Epperò, se si accetta questo, e se si seguono ugualmente e con interesse gli avvenimenti, capita però che non si possa coniugare la lettura di una storia che ci appare incredibile con la partecipazione (la com-passione, l’empatia, chiamatela come volete) al dolore dei due protagonisti (che sono, appunto, solo dei “simboli”).

Sarebbe dunque una storia capace di fare pensare, più che di commuovere o sconvolgere.
Su questo, non c’è stato nessun tipo di accordo o di compromesso: chi ne è stato sconvolto, ha continuato a esserlo; chi lo ha letto come interessante ma non particolarmente coinvolgente racconto, ha continuato a vederla in questo modo.

Altre critiche sono venute dall’insistenza e dalla particolarità delle esperienze sessuali dei due bambini, e di alcuni comprimari: grottesche, sono state definite, ma (ecco di nuovo una visione diversa) di un grottesco che traspare la realtà vera.
Altri temi toccati, ma qui solo accennati, altrimenti il post si allunga troppo: gli altri due libri, i protagonisti, la capacità di scrittura. A questo proposito è curioso che la Kristof, provenendo dall’ungherese, si accosti alla lingua francese in modo molto personale: la cadenza neolatina (a cui di solito si sovrappone il senso di dolcezza) viene invece sottovalutata, evidenziando sempre più i contorni di una prosa secca, ferma e a volte di un oscurità quasi macabra e perennemente rettilinea. È un filo continuo che non si spezza e che è retto da un esperimento di stile: la narrazione al presente, ad esempio, e il libro ambientato in una struttu
Autore: AnnalisaInviato il: 30 ott 2006 - 10.21
per delinearsi solo scheletricamente nella realtà degradata di un paese est-europeo sotto l’influsso della guerra.


(l'avevo detto che il post era troppo lungo)
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