Tra i compiti più importanti che un vicario
generale è chiamato a svolgere in una diocesi,
vi è di certo quello di fungere
da “sacerdote-ponte”, qualificato e autorevole, tra il vescovo e il presbiterio
e viceversa. Se è vero che il vicario deve godere della stima di chi lo sceglie, è
altrettanto vero che non deve essere inviso ai suoi confratelli.
Mai deve prestarsi ad essere incudine e mai
deve lavorare a far sì che il vescovo che lo ha scelto diventi martello
(consapevole o inconsapevole) nei riguardi di quanti manifestano opinioni
diverse dalle sue.
Il suo compito invece è quello di favorire, suscitare e sostenere l’impegno
pastorale e comunionale in diocesi. Di seguito alcuni requisiti essenziali per
non credersi ma essere vicario generale:
1. E' consapevole, prima e durante, di essere non al di
sopra dei confratelli ma
al servizio di questi e del
vescovo, che lo sceglie unicamente per aiutarlo nel servizio pastorale,
volto alla crescita comunionale nella diocesi;
2. S’industria nel saper andare
incontro agli altri
e coltivare un
dialogo franco e senza pregiudizio alcuno con
tutte le componenti ecclesiali e a maggior ragione coi confratelli presbiteri;
3. Rifugge dal parteggiare a priori per una delle due
parti. Lavora, invece, con spirito di carità al perseguimento del
bene e nella verità,
mediando le ragioni dei confratelli e quelle
del vescovo;
4. Aiuta il suo vescovo a saper dare il meglio di sé;
5. Qualora
i suoi confratelli non riescano a riconoscere in lui un principio di dialogo e
comunione tra loro e il vescovo, s’impegna a lavorare per una soluzione che
porti al superamento della frattura, facendosi anche umilmente da parte.
Senza tali qualità, e sicuramente anche di moltre altre, il ministero di vicario generale più che
favorire la comunione costituisce un serio impedimento a questa, con tutte le
conseguenze deleterie che si possono immaginare.