Carlo Silvano


articoli vari

CARCERI. La voglia di punizione di chi non sa più punire

 

È forse una tendenza dei nostri anni quella a interessarsi soltanto di ciò che ci riguarda direttamente, senza curarsi di ciò che, invece, sta vivendo il nostro vicino di casa, il compagno di nostro figlio, il fratello del nostro collega di lavoro. La nostra vita, con tutte le sue difficoltà, gli alti e bassi, i problemi, ci dà già abbastanza pensieri. Tutti presi dalla cura del nostro orticello, si finisce per vivere chiusi nel proprio piccolo mondo, certi che niente potrà turbare la nostra “quiete” finché la “fortuna” ci aiuterà a stare bene in salute, finché il “destino” ci sarà propizio. E allora diventa anche facile rispondere a chi in un dato momento è in difficoltà “sono problemi tuoi!”, certi che mai e poi mai quel problema ci potrà riguardare, che noi non ci troveremo in quelle condizioni, perché siamo bravi, onesti, “non facciamo nulla di male”... però poi, magari, abbiamo l’amico che ci masterizza l’ultimo cd del nostro cantante preferito, quello che ci vende abbigliamento firmato senza avere la licenza, o magari, professionisti affermati, non rilasciamo fattura al nostro cliente o paziente, salvo, poi, lamentarci che in Italia tutto va male perché la legge non viene rispettata. La coscienza, non correttamente alimentata, finisce per convincersi e per convincerci che se le cose non vanno bene è per colpa di quello e di quell’altro, e giù la caccia alle streghe! E le carceri italiane? Ma sono una cuccagna: hai un posto dove dormire, da mangiare a pranzo e cena... altro che! La palla al piede ci vorrebbe invece! Assassini, ladri, violentatori, spacciatori, in galera ci dovrebbero restare a vita! Dopo, sentiamo al telegiornale notizie raccapriccianti che destano in noi accesi sentimenti di rabbia nei confronti di persone che hanno infierito su innocenti inermi... li si vorrebbe vedere puniti, per un senso di giustizia... o di vendetta? Tutti sentimenti assolutamente umani, che è naturale provare. Ma perché tanta rabbia? Perché si vorrebbero carceri più dure e non invece carceri più “rieducative”? Si può forse sostituire l’incertezza della pena con un irrigidimento di una già dura realtà da affrontare per chi vi entra? In una società dove a livello educativo si è eliminato in generale il castigo e la punizione per un figlio - bambino o adolescente che sia - che si comporta male in famiglia o verso gli altri, con la giustificazione che “è solo un ragazzo” (salvo poi giudicare male i figli degli altri che si comportano male verso i nostri), come mai si rivaluta lo strumento punitivo quando si parla di carcere? Siamo sempre pronti a scagliare pietre contro chi sbaglia, ma evitiamo accuratamente di fare il punto sul nostro comportamento, su quello dei nostri figli. Anzi, insegniamo spesso loro ad offendere, a sentirsi superiori, a non chiedere scusa, perché magari è considerato un segno di debolezza. Abbiamo sempre una parola da spendere sugli altri, sappiamo fare molto bene i conti nelle tasche altrui, e non sappiamo più cosa significhi mettersi in ascolto, rivedere i nostri atteggiamenti, il nostro stile di vita. Crediamo di pensare con la nostra testa, e non ci accorgiamo di fare il gioco di altri, che abbiamo sintonizzato i nostri valori su quelli di un fantomatico “Grande Fratello” che vuole che tutti si pensi così. (Carlo Silvano)

sabato, 12 dic 2009 Ore. 17.39
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